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Nuova speranza contro la leucemia

Tumori: prevenzione e terapie

Sanihelp.it – Le cellule Carcik sono linfociti T ottenuti da donatori sani e geneticamente modificati in laboratorio in modo da riconoscere e aggredire le cellule tumorali, nella fattispecie le cellule della leucemia linfoblastica acuta di tipo B, che è il tumore più frequente in età pediatrica, al di sotto dei 14 anni. Un recente studio clinico condotto dalla Fondazione Tettamanti di Monza e dall'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e pubblicato sul Blood Cancer Journal ha dimostrato l'efficacia e l'elevata tollerabilità delle cellule Carcik nel trattamento di 36 pazienti con leucemia linfoblastica acuta di tipo B con ricaduta di malattia dopo il trapianto di cellule staminali ematopoietiche da donatore. In questi pazienti, affetti da una forma particolarmente aggressiva della malattia, si è ottenuta una remissione nell’83% dei casi.


A differenza delle Car-T commerciali, che si ricavano dal paziente, le Carcik vengono prelevate dal sangue di un donatore sano, grazie a un processo che costa dieci volte meno, più semplice e meno invasivo e non richiede l’utilizzo di vettori virali, ma di parti di DNA dette trasposoni.

«Questo studio è il risultato di un percorso di ricerca accademico che in soli 10 anni ha permesso l'ideazione, lo sviluppo preclinico e la sperimentazione con successo sui pazienti di un nuovo approccio terapeutico per forme di leucemia molto aggressive negli adulti e nei bambini – spiega Andrea Biondi, direttore scientifico della Fondazione Tettamanti – la fondamentale collaborazione con enti autorevoli ed esperti in questo campo, come l'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha consentito di raccogliere evidenze scientifiche significative a sostegno dell'efficacia e della tollerabilità delle Carcik, che hanno ottenuto l'autorizzazione dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) per la sperimentazione anche sui linfomi non Hodgkin di tipo B refrattari ai trattamenti e non candidabili a terapie con cellule Car-T attualmente disponibili».

Il trattamento è stato in genere ben tollerato e non si è verificata la malattia del trapianto contro l'ospite, che costituisce uno dei fattori di rischio dei trapianti di cellule ematopoietiche. La speranza e l’intento sono quelli di poter estendere la sperimentazione anche ad altre forme oncoematologiche.

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