Sanihelp.it – La terapia del tumore alla prostata può avvalersi di una nuova tecnica in ambito di chirurgia laparoscopica: si tratta di una singola incisione di soli 2,5 cm eseguita appena sotto l’ombelico. Il tumore alla prostata è responsabile in Italia del 7% delle morti per neoplasia (seconda solo al cancro ai polmoni) e coinvolge ogni anno circa 9.000 nuovi pazienti. Si tratta di una patologia che si sviluppa più frequentemente dai 65 anni in su: se a 40 anni infatti la probabilità di sviluppare il tumore è di 1 caso ogni 10.000, tra i 60 e gli 80 anni l’incidenza diventa di 1 a 8.
La terapia più applicata in caso di neoplasia maligna entro i 70 anni, è l’asportazione chirurgica totale della prostata. Dagli anni Novanta, la chirurgia tradizionale open (cioè eseguita con una incisione chirurgica lunga dall’ombelico al pube), ha lasciato quasi del tutto spazio a tecniche laparoscopiche, con le quali l’asportazione della prostata si esegue operando attraverso piccoli fori (di 5 o 10 mm) nell’addome.
Negli ultimi anni le procedure laparoscopiche hanno avuto uno sviluppo straordinario, diventando sempre meno invasive. Oggi l’evoluzione della chirurgia laparoscopica è la SILS (Single Incision Laparoscopic Surgery): una procedura in cui, attraverso dispositivi e strumenti specialistici, l’intervento viene eseguito attraverso una singola incisione attraverso l’ombelico.
Il dottor Vincenzo Ferrara, Direttore del reparto di Urologia dell’Ospedale Civile di Jesi spiega: «In campo urologico possiamo affermare, forti dell’esperienza da noi acquisita, che questa tecnologia rappresenta un sicuro ed efficace superamento di gran parte della laparoscopia tradizionale. Abbiamo adottato la SILS dall’inizio del 2009 per gli interventi di chirurgia urologica, eseguendo asportazioni di cisti renali, di tumori del rene , del surrene e della prostata. n particolare, abbiamo finora eseguito con tale tecnica, con una al massimo due piccole incisioni, una di 2 -2,5 cm e l’altra di appena 5 mm, fatte rispettivamente sotto l’ombelico e vicino al pube, oltre 80 prostatectomie radicali: di questi meno del 5% dei pazienti ha presentato delle complicanze, peraltro risoltesi in breve tempo.
È stato inoltre riscontrato un buon tasso di ripristino della funzionalità sessuale nei pazienti che avevano espresso interesse a recuperare anche questo aspetto della loro vita e, soprattutto, della loro continenza urinaria, temibile e possibile complicanza in questo tipo di interventi.
In definitiva, la tecnica ha dato buoni risultati in termini di risultati oncologici e di recupero post-operatorio delle funzioni sessuali e di corretta minzione, accanto a una minor perdita ematica, una minore richiesta di analgesici e più rapidi tempi di recupero, che si traducono in un più precoce reinserimento sociale e lavorativo del paziente. In questi abbiamo anche riscontrato come la riduzione delle ferite addominali comporti in sovrappiù il grande vantaggio psicologico di farli sentire meno malati, al punto da arrivare con il tempo quasi a dimenticarsi di aver subito un intervento, che pure è di alta complessità chirurgica e spesso salvavita, essendo praticato per asportare un tumore maligno».