Sanihelp.it – Il tumore al colon-retto è negli uomini il terzo tipo di tumore più diffuso dopo quelli alla prostata e al polmone mentre tra le donne è al secondo posto preceduto dal tumore al seno. «In Italia l’incidenza delle neoplasie del colon-retto è di circa 48-50mila casi ogni anno e circa 22mila pazienti presentano la malattia in fase avanzata o metastatica», dichiara il Professor Francesco Di Costanzo, Direttore Oncologia Medica Ospedale Careggi di Firenze.
Questa neoplasia in stadio iniziale si presenta spesso senza sintomi, per cui lo screening è fondamentale: «L’avvio di numerosi programmi di screening ha permesso un maggior numero di diagnosi in fase iniziale della neoplasia, quindi un contenimento del trend di crescita della patologia». In Italia, nel corso del 2011, quasi 1,8 milioni di donne e uomini hanno effettuato il test del sangue occulto nelle feci (o la rettosigmoidoscopia) per identificare precocemente il tumore del colon retto e il 45-50% della popolazione target riceve periodicamente l’invito per sottoporsi ai test per la diagnosi precoce. Negli ultimi anni gli screening hanno avuto un impatto significativo sulla salute di decine di migliaia di persone, contribuendo ogni anno all’individuazione di lesioni e forme pre-tumorali o di tumori conclamati. Nel 2011 grazie allo screening del colon-retto sono stati individuati oltre 2.800 tumori e più di 15.000 adenomi avanzati. Nel mese di giugno si è svolto a Chicago il Congresso della Società Americana di Oncologia (ASCO), in questa occasione sono stati presentati alcuni studi molto importanti per il trattamento del tumore al colon-retto in fase avanzata come FIRE-3, studio tedesco di fase III, del gruppo cooperativo AIO, che confrontava un trattamento chemioterapico standard (FOLFIRI) associato a Bevacizumab o Cetuximab in prima linea nei pazienti senza alterazioni del gene Kras.
«Lo studio era stato disegnato per valutare la risposta al trattamento, ma questa non è risultata significativa, se non nel gruppo selezionato per malattia misurabile. La sopravvivenza è caratterizzata da una curva che per i primi 18 mesi è sovrapponibile per poi divaricarsi in modo significativo a 24 mesi, con una sopravvivenza mediana di 28,7 e 25 mesi rispettivamente. Questo studio, pur essendo molto interessante, solleva più dubbi interpretativi che chiarimenti circa quale farmaco biologico sia più efficace in associazione con la chemioterapia in prima linea. Tutti gli esperti a questo punto rimandano la soluzione di questo quesito alla studio di un gruppo cooperativo americano (CALGB89405) che dovrebbe essere presentato all’ASCO 2014 e alcuni aspetti dello studio FIRE-3 necessitano di essere approfonditi e meglio chiariti riguardo ai trattamenti che i pazienti, inclusi nello studio, hanno ricevuto nelle linee successive. La sopravvivenza senza progressione (PFS) è risultata identica. Credo che il FIRE-3 al momento non sia in grado di risolvere il quesito clinico di quale sia il miglior farmaco biologico in prima linea da associare alla chemioterapia e pertanto, questo studio, non dovrebbe modificare la pratica clinica», ha spiegato il professor Di Costanzo.