Sanihelp.it – Il tumore del pancreas è una tra le patologie tumorali più gravi, è uno dei cinque cosiddetti Big Killer, con un’incidenza e un tasso di mortalità quasi coincidenti. Infatti, la maggior parte dei pazienti non sopravvive ai primi mesi dalla diagnosi e, dopo cinque anni, la mortalità si attesta al 95%. In Italia rappresenta il 3% dei tumori totali ma, con il 7% all’anno di decessi rappresenta la quarta causa di morte dopo i cinquant’anni nell’ambito delle patologie oncologiche.
Il tumore del pancreas è silenzioso, con uno sviluppo spesso rapido e aggressivo e particolarmente resistente ai farmaci. Quasi asintomatico al suo esordio, si manifesta solo quando, crescendo, le cellule tumorali invadono gli altri organi, come stomaco e intestino, compromettendone la funzionalità. Il paziente e i suoi familiari si trovano, quindi, ad affrontare uno stadio avanzato della malattia, senza prospettive di cura efficaci, e con gravi conseguenze immediate, fisiche e psicologiche.
Come spiega Salvatore Siena, Direttore della Divisione di Oncologia Falck, Dipartimento Oncologico, Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano: «La diagnosi di tumore del pancreas significa, per noi oncologi, comunicare al paziente e ai suoi familiari una tra le prognosi più infauste. Nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte a uno stadio del tumore che ha raggiunto livelli molto difficili da contrastare: questo si traduce in una probabilità di sopravvivenza che si calcola, generalmente, nell’arco di mesi, cui si aggiunge il carico dato dalla miriade di sintomi provocati dall’estensione della neoplasia ad altri organi. Le cellule tumorali pancreatiche, infatti, sono particolarmente resistenti ai farmaci, che non riescono a bloccarne lo sviluppo, ma solo a rallentarne in modo estremamente limitato la crescita».
A fine gennaio si è tenuto a San Francisco il congresso dell’American Society of Clinical Oncology – GastroIntestinal (ASCO GI), in questa occasione sono stati presentati i risultati di MPACT (Metastatic Pancreatic Adenocarcinoma Trial): uno studio clinico di fase III in pazienti affetti da adenocarcinoma metastatico in stadio avanzato non operabile. La sperimentazione ha valutato l’efficacia dell’associazione di Nab paclitaxel (paclitaxel legato all’albumina in nano particelle) con gemcitabina, evidenziando un aumento del 59% nella sopravvivenza a un anno e un tasso di sopravvivenza raddoppiato a due anni (9% vs. 4%).
«Questo studio è importante – spiega Michele Reni, Coordinatore Area Attività Scientifica, U.O. Oncologia Medica, IRCCS San Raffaele di Milano – perché riguarda l’adenocarcinoma, che rappresenta il 95% dei casi di tumore al pancreas, sia perché, dopo aver assistito negli ultimi quindici anni a una lunga serie di sperimentazioni negative, finalmente abbiamo un nuovo farmaco su cui contare per il trattamento dei pazienti affetti da questo tumore. La somministrazione dell’associazione Nab paclitaxel e gemcitabina non solo ha dimostrato di poter aumentare la sopravvivenza e il tempo libero da progressione, ma anche di poter ottenere questo risultato con una tossicità accettabile e, attraverso la presenza del Nab paclitaxel, di aggredire, in particolare, il tessuto tumorale, anziché i tessuti sani».
Il successo di questa associazione è dovuto alla presenza del paclitaxel racchiuso in un guscio di albumina in nano particelle (Nab). Le nanoparticelle di paclitaxel e albumina sono infatti compatibili con una componente fondamentale del sangue, l’albumina, e ne mimano la funzione. Questo permette da una parte alle molecole di paclitaxel di uscire dal flusso sanguigno con maggiore facilità, e di raggiungere le cellule tumorali in concentrazione maggiore, dall’altra di penetrare più facilmente all’interno delle cellule tumorali, aumentando la potenza del farmaco. Inoltre Nab paclitaxel non necessita di solventi, che sono causa di molti degli effetti collaterali di altri farmaci anti-tumorali.
«L’uso della nanotecnologia nel farmaco Nab paclitaxel – afferma i Giampaolo Tortora, Direttore U. O. C. Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona – sfrutta i meccanismi utilizzati dalle cellule tumorali per nutrirsi, e per agire contro al tumore. L’albumina entra nelle cellule tumorali legandosi a una proteina chiamata SPARC (Proteina Acidica Secreta e Ricca in Cisteina). Il Nab paclitaxel, essendo legato all’albumina, sfrutta il legame di quest’ultima con SPARC per far entrare, subdolamente, nella cellula tumoraleil paclitaxel che, una volta rilasciato, aggredisce le cellule neoplastiche. Quindi, il Nab paclitaxel agisce come un cavallo di Troia, utilizzando e ingannando i processi vitali delle cellule tumorali».