Sanihelp.it – Nel nostro Paese nel 2016 si sono registrati cinquantamila casi di tumore al seno, duemila in più rispetto al 2015. Si registra però un calo costante della mortalità, in particolare nella fascia di età compresa tra i 50 e i 69 anni (-1,9% ogni anno), a cui è rivolto lo screening mammografico.
Questi programmi si rivelano dunque efficaci e in alcune Regioni si stanno ampliando anche alle donne a partire dai 45 anni, estendendo così il target di riferimento. Individuare la malattia in fase precoce infatti, porta alla guarigione in più del 90% dei casi.
Questi alcuni dei temi al centro del convegno Breast Journal Club – l’Importanza della Ricerca in Oncologia, svoltosi a Napoli il mese scorso e che ha visto insieme alcuni tra i più importanti esperti nazionali e internazionali sulla patologia.
La professoressa Stefania Gori, Direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Don Calabria Negrar di Verona e Presidente Eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), spiega: «Grazie alla mammografia e alle terapie innovative, otto italiane su dieci colpite da cancro del seno riescono a sconfiggerlo. Il 45% delle italiane però non si sottopone a esami in grado di diagnosticare precocemente la malattia. Forti sono le differenze tra le varie Regioni. Qui in Campania si registra una delle percentuali più basse di adesione e ben il 63% delle donne non esegue questo test salvavita. Rinnoviamo quindi il nostro appello affinché tutta la popolazione partecipi ai programmi di prevenzione secondaria del cancro».
Il tumore del seno è la patologia oncologica più frequente tra le donne italiane di ogni fascia d’età. «Il tasso di sopravvivenza, a cinque anni dalla diagnosi, nel 2016 ha raggiunto l’85,5% – continua la professoressa Gori -. Come per altre neoplasie, si tratta di un dato superiore alla media europea che si ferma invece all’81,8%. Siamo quindi di fronte all’ennesima dimostrazione dell’ottimo livello raggiunto dall’oncologia italiana che riesce a primeggiare in Europa nonostante sprechi, disorganizzazioni e lungaggini burocratiche che ancora contraddistinguono il nostro sistema sanitario nazionale».
«Esistono inoltre forti differenze tra le varie Regioni – aggiunge il professor Michele De Laurentiis, Direttore U.O.C. Oncologia Senologica dell’Istituto Pascale di Napoli -. Ancora troppi italiani malati di cancro si spostano dal Sud al Nord per ricevere cure e assistenza. Questo avviene nonostante nel Mezzogiorno siano attivi alcuni centri di assoluta eccellenza. Una possibile soluzione a questo problema può essere la realizzazione e attivazione delle Reti Oncologiche Regionali e la definizione dei Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali».
«Oggi, rispetto a soli pochi anni fa, conosciamo meglio i meccanismi biologici che sono alla base dei tumori. Le terapie sono sempre più mirate contro le cellule cancerogene e meno tossiche per il resto dell’organismo. Questi farmaci innovativi si aggiungono alle varie armi già a disposizione dell’oncologo come chemioterapia, radioterapia od ormonoterapia. In particolare nab-paclitaxel è un farmaco che sfrutta le nanotecnologie e che ha evidenziato un miglioramento della sopravvivenza del 20%. Per migliorare l’indice terapeutico dei taxani, che sono lo standard di cura nel trattamento del tumore della mammella, infatti, è stata utilizzata una tecnologia all’avanguardia: la nanotecnologia. È in grado di trasportare direttamente il farmaco al tumore sfruttando le proprietà di trasporto naturale dell’albumina. Piccolissime particelle, di questa proteina, vengono legate a paclitaxel in una forma solubile e iniettabile. Attualmente nab-paclitaxel è utilizzato nel trattamento del cancro del seno, pancreas e polmone», spiega De Laurentiis.
«Questi risultati sono ottenuti grazie alla ricerca scientifica. In Italia negli ultimi dieci anni sono state svolte 230 sperimentazioni cliniche in ambito oncologico. Ciò nonostante il sistema di ricerca nel nostro Paese è fortemente limitato da alcuni eccessi burocratici. Per esempio, occorrono 17 settimane per avviare uno studio clinico mentre nel Regno Unito ne bastano cinque. Inoltre, nella Penisola, sono attivi 96 Comitati Etici che devono esprimere un parere sulle sperimentazioni. Seppur in riduzione il loro numero è ancora il doppio rispetto alla media del »vecchio continente». È quindi necessario rivedere le norme che regolano questo particolare ambito della medicina e, al tempo stesso, favorire il più possibile la ricerca clinica indipendente attraverso nuovi investimenti pubblici», commenta il professor Sabino De Placido, Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università Federico II di Napoli.