Sanihelp.it – Durante il recente media talk 'Diabete Cuore Reni- Le Connessioni pericolose. Rischi noti e meno noti nel circuito cardionefrometabolico molto si è discusso sul fatto che le evidenze scientifiche e la pratica clinica dimostrano ormai che curare il diabete guardando solo alla glicemia non è sufficiente.
Il diabete va infatti interpretato nella sua dimensione più ampia quale fattore di rischio cardiovascolare, renale e metabolico.
Curarlo significa quindi non solo ridurre i valori glicemici ma anche, e soprattutto, proteggere i pazienti dal danno d'organo valutando le connessioni pericolose tra cuore, rene e metabolismo, con un approccio olistico e multidisciplinare.
Le persone con diabete corrono un rischio di avere un infarto del miocardio 2-3 volte maggiore rispetto alla popolazione non diabetica e di aumentare di 2-5 volte il rischio scompenso cardiaco.
Non solo: il 40% dei pazienti sviluppa Malattia renale cronica (Mrc) ma, tra i circa 4 milioni di italiani che convivono con la patologia, solo uno su 10 ne è consapevole.
Esami del sangue e delle urine, diagnosi precoce del danno d'organo e utilizzo anticipato di farmaci innovativi sono gli interventi necessari che, oltre a migliorare il controllo glicemico, proteggono il rene e il cuore, battendo sul tempo la comparsa di complicanze severe come la Malattia renale cronica e gli eventi cardiovascolari fatali.
I sistemi cardiovascolare, renale e metabolico sono interconnessi e condividono numerosi fattori di rischio e patwhway patologici nel continuum della malattia.
Il mancato funzionamento anche di uno solo di questi sistemi comporta, a cascata, ripercussioni su tutti gli altri che, a loro volta, portano ad un aumento del rischio di mortalità per cause cardiovascolari.
«Il diabete- ha spiegato il presidente eletto dell'Associazione medici diabetologi (Amd), direttore di Medicina Interna-Endocrinologia all'Irccs 'Casa Sollievo della Sofferenza' di San Giovanni Rotondo (Foggia), Salvatore A. De Cosmo– raddoppia il rischio di eventi cardiovascolari e la mortalità conseguente a infarto e ictus. Per questo, l'obiettivo principale oggi nella gestione della persona affetta da diabete è quello di trattare in maniera integrata la malattia diabetica, con una speciale attenzione alle correlazioni nefro-cardio-metaboliche e al mantenimento in salute degli organi bersaglio. In definitiva, se soffre il cuore, il rene ne risente, se soffre il rene, ne risente il cuore. L'approccio terapeutico legato ai nuovi farmaci antidiabetici consiste nel tentare di proteggere il rene per salvare il cuore, e viceversa. A questo si deve aggiungere una presa in carico del paziente diabetico da parte di un team multispecialistico dedicato. In questo caso è dimostrato che i pazienti seguiti a 360 gradi hanno un'aspettativa di vita migliore».
La Malattia renale cronica (Mrc) è una condizione patologica progressiva associata a un alto rischio di mortalità e morbidità, sia perché può essere il preludio allo sviluppo della malattia renale allo stadio terminale (Esrd o Eskd, End-Stage Kidney Disease), sia perché è fattore di rischio cardiovascolare e di mortalità generale.
«Il diabete- ha evidenziato il presidente della Società italiana di diabetologia (Sid), Angelo Avogaro– può compromettere la salute dei reni in diversi modi: tra questi, elevati livelli di glucosio sul glomerulo, l'unità filtrante che a causa dello stress ossidativo con il tempo muore, e l'elevata pressione all'interno del glomerulo, considerando che il 95% dei pazienti diabetici sono anche ipertesi. Man mano che il rene perde la sua capacità di filtro aumenta la produzione di creatinina nel sangue e la presenza di albumina nelle urine. Nella fase iniziale, che dura anni, l'insufficienza renale è asintomatica. Per il paziente con diabete è obbligatorio sottoporsi regolarmente agli esami per valutare la funzione renale. In secondo luogo, è opportuno mantenere la glicemia nel tempo quanto più bassa possibile. Terzo, utilizzare le glifozine, farmaci che hanno la particolare capacità di ridurre la pressione dentro il glomerulo renale e quindi lo proteggono dall'insulto 'emodinamico'»
Le connessioni tra diabete, ipertensione, diabete, cardiopatie e obesità sono confermate dallo studio epidemiologico Carhes, condotto in Italia da Sin, Anmco e Iss: ciascuna di queste condizioni rappresenta un fattore di rischio per la Malattia renale cronica e richiede un monitoraggio particolare per favorire la diagnosi tempestiva.
«La progressione della Malattia renale cronica- ha sottolineato il presidente eletto della Società Italiana di Nefrologia (Sin), professore ordinario di Nefrologia del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate (Damss) dell'Università degli Studi della Campania 'Luigi Vanvitelli', Luca De Nicola– può essere rallentata dalle terapie disponibili per ipertensione e diabete, alcune di uso consolidato come gli ace-inibitori e i sartani, altre innovative come le glifozine, considerate terapie di prima linea dalle Linee Guida. Queste, da prescrivere insieme agli inibitori del sistema renina-angiotensina, hanno dimostrato un beneficio in termini di nefroprotezione e sono in grado di rallentare in modo significativo la progressione della malattia e di eventi cardiovascolari, fatali e non fatali. Queste opportunità terapeutiche devono andare di pari passo con azioni mirate ad intercettare precocemente la presenza di una malattia renale, specialmente nei soggetti ad alto rischio di svilupparla, in primis diabetici, ipertesi, cardiopatici ed obesi».
Cuore e rene non vanno quindi considerati secondo una visione a 'silos' ma sinergica che coinvolge diverse figure specialistiche al fine di preservare, o quanto meno limitare, il danno d'organo e ottenere i migliori risultati attesi per il paziente. Un approccio ribadito anche nelle più recenti Linee Guida dell'Esc che suggeriscono di utilizzare gli Sglt2 inibitori, farmaci innovativi sviluppati inizialmente per il trattamento del diabete, per prevenire l'eventuale progressione del danno renale nei pazienti con malattia ipertensiva, con o senza diabete.
La malattia renale è asintomatica: la mancanza di campanelli d'allarme, ad eccezione dell'aumento della pressione arteriosa,favorisce la progressione della patologia verso dialisi e trapianto. «A questa progressione silenziosa- le parole del presidente della Fondazione italiana del rene (Fir), direttore di Nefrologia dell'ospedale Grassi di Ostia Asl Roma 3, Massimo Morosetti– si può ovviare attraverso l'esame del sangue per il dosaggio della creatinina e l'esame delle urine per ricercare eventuale presenza di albumina o di globuli rossi. Questi due semplici esami consentono una prima valutazione della funzionalità renale. Alcune categorie di pazienti come i diabetici, gli obesi, chi soffre di ipertensione o vasculopatie e chi ha familiarità per malattia renale, dovrebbero sottoporsi con regolarità ad un esame del sangue e delle urine».
«Per invertire la tendenza- ha concluso- bisogna intervenire sulla diagnosi precoce e sul trattamento con i nuovi farmaci che, utilizzati in fase precoce, sono in grado di proteggere il rene e di rallentare o bloccare la progressione della malattia renale. È importante rivolgersi sempre al nefrologo, che è lo specialista dei reni in grado di prendere in carico il paziente all'interno di uno specifico percorso di assistenza e cura».