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Alzheimer, nuove prospettive di cura

Salute mentale

Sanihelp.it – La demenza è una patologia neurodegenerativa acquisita, progressiva e irreversibile del sistema nervoso centrale che porta ad un declino delle funzioni cognitive e spesso accompagnate da disturbi dell’umore e/o del comportamento . Deficit che con il tempo vanno ad interferire con le attività della vita quotidiano fino a rendere il paziente totalmente non autosufficiente.


L’OMS ha stimato che nel 2019 i malati demenza nel mondo erano circa 55 milioni ed ha previsto un aumento fino a 139 milioni di malati nel 2050, con circa 10 milioni di casi all’anno, quindi parliamo di 1 ogni 3 secondi, Con costi per il sistema sanitario che si aggirerebbero intorno ai 2,8 trilioni di dollari!

Tra le demenze la Malattia di Alzheimer è quella più diffusa (circa il 60%) e con le altre demenze rappresenta la 7^ causa di morte nel mondo.

I segni e sintomi principali sono:

* Perdita di memoria (uno dei primissimi sintomi)

* Difficoltà nel compiere attività quotidiane routinarie

* Problemi di linguaggio (avere difficoltà a trovare le parola o organizzare un discorso)


*  Disorientamento temporale e spaziale (anche in luoghi familiari)

*  Scarsa capacità di giudizio

*  Difficoltà nella risoluzione di problemi

*  Dislocazione o smarrimento di oggetti

*  Difficoltà nelle relazioni spaziali

*  Disturbi comportamentali

*  Ritiro da lavoro e dalle attività sociali

Ad oggi purtroppo non esiste ancora una cura per l’Alzheimer e per le demenze in generale. Esistono dei farmaci che ne rallentano il decorso sintomatologico. Una nuova frontiera di trattamento è rappresentata, oggi, dalla neuromodulazione. A parlarne sono alcuni esperti nel campo, il professor Giacomo Koch, Professore Ordinario di Fisiologia Università di Ferrara, direttore del Laboratorio di Neuropsicofisiologia Sperimentale della Fondazione IRCCS Roma e Responsabile scientifico HBI, la dottoressa Beatrice Casoni, psichiatra e Direttore Sanitario Healthy Brain Institute e il dottor Emanuele Lo Gerfo, psicologo e Dottore di ricerca in Neuropsicologia presso HBI Milano, Psicologo ricercatore presso l'IRCCS Istituto Mediterraneo per i Trapianti ISMETT.

La neuromodulazione è l’applicazione di deboli correnti elettriche a zone ben definite del cervello per interagire con l’attività elettrica dei neuroni, cioè sul linguaggio che i neuroni utilizzano per comunicare tra di loro. Modificando questa comunicazione si può ottenere un beneficio terapeutico in diverse patologie psichiatriche e neurologiche.

Il nostro cervello può essere rappresentato come un’orchestra in cui gli elementi suonano all’unisono. Quando qualche rete neurale suona fuori fase si può manifestare una patologia e si è visto che con le tecniche di neuromodulazione è possibile ripristinare l’equilibrio perso. In particolare con la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva, cioè un trattamento non invasivo e non doloroso che attraverso l’erogazione di un campo eletromagnetico permette di modificare il modo in cui i neuroni comunicano tra di loro. L’impulso elettromagnetico viene convogliato dentro una bobina appoggiata sul punto della testa da stimolare.

La stimolazione magnetica transcranica viene utilizzata per diverse patologie, in particolare: depressione, disturbi ossessivi, dolore cronico neuropatico, ictus, dipendenze e una nuova frontiera è l’utilizzo personalizzato nelle demenze, in particolare nella M. di Alzheimer.

Uno studio dei ricercatori della Fondazione Santa Lucia coordinati dal professor Giacomo Koch, in collaborazione con l’Università di Ferrara, pubblicato sulla prestigiosa rivista Brain ha dimostrato che un trattamento di stimolazione magnetica transcranica per un periodo di sei mesi sul precuneo, una zona del cervello particolarmente coinvolta nella malattia fin dal suo esordio, è in grado di rallentare il declino cognitivo e mantenere più a lungo l’autonomia dei pazienti con malattia in fase lieve-moderata e cioè quando il declino avanza più rapidamente ed è meno responsivo ai farmaci.

In un trial clinico randomizzato in doppio cieco di fase 2 sono stati arruolati 50 pazienti: in una metà dei pazienti è stata applicata la TMS per sei mesi con frequenza settimanale dopo un iniziale trattamento intensivo di due settimane con sedute quotidiane. In altro gruppo è stata applicata una stimolazione placebo. Al termine del trattamento il gruppo di pazienti trattati con TMS ha mostrato punteggi decisamente migliori in una serie di scale cliniche che misurano le funzioni cognitive rispetto al gruppo trattato con placebo. Tale risultato era supportato anche dai punteggi nelle scale che misurano l’autonomia della vita quotidiana che restavano invariati per i pazienti trattati con TMS mentre peggioravano in quelli trattati con la stimolazione placebo.

Come bersaglio di stimolazione  i ricercatori hanno individuato il precuneo, una regione cerebrale che fa parte di una particolare rete neurale che viene precocemente danneggiata dalla malattia di Alzheimer poiché è una sede privilegiata di accumulo della sostanza amiloide e degli aggregati di proteina tau. Il precuneo svolge un ruolo ed è altamente connesso con altre aree, tra cui il lobo temporale coinvolto nei processi di memoria e consapevolezza.

Questo lavoro ha due importanti elementi di novità: da una parte è stato individuato un nuovo target terapeutico per la stimolazione cerebrale nella malattia di Alzheimer, ovvero il precuneo. Dall’altra, per la prima volta, un trattamento con TMS è stato eseguito nella malattia di Alzheimer per un periodo di sei mesi con un disegno sperimentale analogo a quello utilizzato per la valutazione dell’efficacia dei farmaci. Questo studio propone quindi un nuovo modello di terapia a lungo termine.

La terapia con TMS, inoltre, appare sicura, ben tollerata e al contrario dei farmaci può essere personalizzata sul singolo paziente.

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