Sanihelp.it – Con il termine amiloidosi si intende solitamente un gruppo di malattie correlate tra loro perché causate da un accumulo di amiloide, proteina prodotta dal fegato. Finora vi sono nove tipologie conosciute dall'uomo, di diversa gravità, con varie sintomatologie a seconda dell'organo colpito. Gli amiloidi si creano a causa di un precursore elaborato dalle proteine in maniera incorretta. Sono stati localizzati finora venti tipi di precursori con potenziale degenerativo, motivo per cui esistono varie tipologie di amiloidosi, sebbene si possano distinguere fondamentalmente due grandi macro-categorie: quella localizzata, confinata cioè ad un solo organo o tessuto, forma solitamente meno grave; e quella sistemica, tipologia in cui gli accumuli sono diffusi. Quest'ultimo è il genere di amiloidosi più grave: colpisce con frequenza cuore, reni, intestino e nervi, portando col tempo ad una limitazione della funzionalità dell'organo.
Questa patologia è neurodegenerativa, dunque molto seria, e può portare alla morte, alla paralisi, al morbo di Alzheimer nel giro di una decina d'anni: se si considera poi che finora la terapia utilizzata risulta piuttosto empirica e di modesto successo, e che anche il trapianto di fegato o di cellule staminali hanno solo lo scopo di rallentare il decorso e non di fermarlo, si comprende come l'amiloidosi sia da ritenere una malattia davvero pericolosa per il nostro organismo.
Ma la ricerca ad una cura prosegue, e forse potrebbe aver compiuto il passo decisivo. Gli scienziati dell'IRCSS San Matteo di Pavia hanno pubblicato sulla rivista specializzata Journal of the American Medical Association uno studio congiunto, svolto assieme ad istituti europei, giapponesi ed americani, iniziato nel 2006, le cui conclusioni avrebbero dell'incredibile. I ricercatori hanno scoperto un farmaco che sarebbe in grado di rallentare ulteriormente il decorso dell'amiloidosi, specie quella sistemica di forma ereditaria, una delle più devastanti tipologie della patologia: o, per meglio dire, il farmaco l'hanno ripescato. Si tratta del Diflunisal, un semplice antinfiammatorio impiegato in presenza di dolore moderato, come mal di denti, o nel trattamento di dismenorrea e osteoartrosi, il cui utilizzo comporterebbe una spesa di soli due euro al giorno: il suo impiego migliora l'aspettativa e la qualità di vita delle persone colpite da questa terribile malattia. Un valido aiuto, dunque, per temporeggiare in attesa di trovare la vera terapia.
L'inconveniente è che il Diflunisal è attualmente al di fuori del prontuario farmaceutico italiano: dunque, per la cura e lo studio sui pazienti di Pavia, l'IRCSS San Matteo deve ordinarlo e far giungere l'antinfiammatorio dall'estero. I ricercatori stanno dunque tentando di convincere l'Agenzia Italiana del Farmaco di reintrodurre il Diflunisal, in virtù dei risultati incoraggianti dei test: nel frattempo, lo stesso istituto sta continuando le sperimentazioni su dieci farmaci innovativi, di modo da aggiungere nuove alternative terapeutiche per prolungare l'aspettativa di vita e migliorare la qualità della stessa dei malati di amiloidosi.