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Il ciclismo non aumenta il rischio di disturbi alla prostata

Sanihelp.itLo sport fa bene alla salute, e su questo non ci piove: nessuno scopre l'acqua calda né tantomeno si rende protagonista di un pensiero rivoluzionario quando afferma che una vita che preveda attività fisica regolare corrisponde ad un organismo più in forze. L'antico proverbio dei latini, mens sana in corpore sano, testimonia che da tempo si conoscono gli effetti collaterali di una esistenza troppo sedentaria, fondata su pigrizia e comodità, sebbene al giorno d'oggi possiamo elencarli con maggiore precisione grazie alle ricerche scientifiche che portano quotidianamente ad ampliare gli orizzonti del nostro scibile.


Ciò nonostante vi sono alcune discipline che, secondo il pensiero comune, possono anche debilitare il fisico, come sport di resistenza troppo logoranti. Il ciclismo, per esempio, impone a chi lo pratica di sfidare ogni giorno i propri limiti e spostare l'asticella leggermente più in alto, cosa che spiega il dilagare della pratica malandrina del ricorso a sostanze dopanti laddove le capacità non raggiungono determinati standard. Ma è risaputo che la bicicletta non faccia male solamente a causa dello sforzo disumano richiesto a chi la inforca durante una lunga corsa a tappe densa di salite o una classicissima di 300 e più chilometri: il luogo comune vuole che sia proprio la posizione mantenuta a lungo sul sellino a provocare disfunzioni più o meno gravi.

C'è chi parla di orchite; chi di varicocele; chi ancora, in maniera ben più seria, di disfunzione erettile,  infertilità o tumore. La lista delle patologie a carico dell'apparato riproduttivo maschile, e della prostata, sembra essere di notevole lunghezza, cosa che induce l'amatore o il giovane dilettante a chiedersi chi glielo fa fare di passare professionista se poi il conto da pagare risulta così salato. Ma sarà poi vero che l'utilizzo continuativo e prolungato della bicicletta provoca questi disturbi?

Al quesito hanno tentato di rispondere i ricercatori della University College di Londra, che hanno valutato la tendenza ad ammalarsi ed incappare in tali disfunzioni di 5300 ciclisti britannici di età varia tra i 16 e gli 88 anni soliti restare sui pedali dalle tre alle nove ore settimanali. Il risultato della sperimentazione, pubblicato dalla rivista Journal of Men's Health, è incoraggiante e lusinghiero: non esiste alcuna correlazione tra ore trascorse in bicicletta e rischio di infertilità o disfunzione erettile, patologie sulle quali ipertensione e fumo, e non certo il sellino, detengono ancora il grado di influenza principale.

Ciò nonostante, non tutto è oro quel che luccica: pare infatti che praticare ciclismo per più di 4 ore a settimana sopra i cinquant'anni d'età possa aumentare leggermente il rischio di carcinoma prostatico, con aumento dei livelli di antigene associati all'infiammazione dell'organo. Ciò nonostante occorrono maggiori e più approfondite analisi per comprendere se non sia un qualcosa legato maggiormente all'invecchiamento della persona più che alle sue abitudini sportive, visto che è il tipo di cancro più diffuso tra i maschi.  

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