Sanihelp.it – Secondo gli esperti, l’infezione da Covid potrebbe lasciare strascichi a lungo termine sulla funzionalità respiratoria e talvolta comprometterla in modo irreversibile, soprattutto negli individui usciti dalla terapia intensiva.
È il preoccupante scenario che arriva dal convegno digitale della Società Italiana di Pneumologia, durante il quale sono stati messi a confronto i primi dati di follow-up raccolti nel nostro Paese e dai medici cinesi con gli esiti di individui colpiti da SARS nel 2003. Da questo confronto emerge che l’infezione polmonare da Coronavirus può lasciare un’eredità cronica sulla funzionalità respiratoria: si stima che in media in un adulto possano servire da 6 a 12 mesi per il recupero funzionale, che per alcuni però potrebbe non essere completo.
Dopo la polmonite da Covid-19, potrebbero essere frequenti alterazioni permanenti della funzione respiratoria ma soprattutto segni diffusi di fibrosi polmonare: il tessuto respiratorio perde le proprie caratteristiche e la struttura normale, diventando rigido e poco funzionale, comportando sintomi cronici e necessità, in alcuni malati, di ossigenoterapia domiciliare. La fibrosi polmonare potrebbe diventare il pericolo di domani per molti sopravvissuti a Covid-19 e rendere necessario sperimentare nuovi approcci terapeutici, come i trattamenti con cellule staminali mesenchimali.
In molti malati di Covid-19 che sono stati ricoverati o intubati si osservano, dopo la dimissione, difficoltà respiratorie che potrebbero protrarsi per molti mesi dopo la risoluzione dell’infezione e i dati raccolti in passato sui malati di SARS mostrano che i sopravvissuti, a 6 mesi di distanza, avevano ancora anomalie polmonari ben visibili alle radiografie toraciche e alterazioni restrittive della funzionalità respiratoria, come una minor capacità respiratoria, un minor volume polmonare, una scarsa forza dei muscoli respiratori e soprattutto una minor resistenza allo sforzo, con una diminuzione netta della distanza percorsa in sei minuti di cammino.
Ma, soprattutto il 30% dei guariti mostrava segni diffusi di fibrosi polmonare, cioè grosse cicatrici sul polmone con una compromissione respiratoria irreversibile: in pratica potevano sorgere problemi respiratori anche dopo una semplice passeggiata. Questi problemi si sono verificati anche in persone giovani, con un’incidenza variabile dal 30 fino al 75% dei casi.
Per questo è necessario prevedere ambulatori di riabilitazione respiratoria e adeguati follow-up: a Pavia già attivo il primo da più di un mese. In accordo con le linee guida della British Thoracic Society Guidance on Respiratory Follow Up of Patients with a Clinico-Radiological Diagnosis of COVID-19 Pneumonia, i malati vengono sottoposti a esame radiografico del torace, prove di funzionalità respiratoria, test del cammino di 6 minuti, ecografia toracica e cardiaca e, se necessario, a TAC toracica per indagare la presenza di una pneumopatia interstiziale diffusa o di una embolia polmonare.
I dati preliminari sembrano confermare le prime osservazioni cinesi: diversi individui dimessi presentano ancora insufficienza respiratoria cronica, esiti fibrotici e bolle distrofiche. È quindi necessario seguirli con attenzione e inserirli in programmi di riabilitazione polmonare.