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Quando il calo del colesterolo non è un buon segno

Sanihelp.it – La riduzione del colesterolo nel sangue è uno delle principali strategie per contrastare le malattie cardiovascolari, a tutt’oggi la prima causa di morte al mondo. Le statine hanno dimostrato di essere molto efficaci per questo scopo, ma cosa succede quando questa diminuzione avviene non nel sangue, ma nelle membrane cellulari? 


Il colesterolo gioca un ruolo di primo piano nella regolazione delle proprietà delle membrane delle cellule, soprattutto per quanto riguarda la loro fluidità, regolandone la biosintesi sarebbe quindi possibile influenzare la forma e le funzioni di queste membrane.

Un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano ha sperimentato l’effetto di tre statine (SIM, rosuvastatin e PRA) e della betulina (una molecola che interferisce con il controllo della concentrazione di colesterolo) su cellule in coltura. I risultati hanno rivelato che la riduzione della quantità di colesterolo nelle membrane, sia tramite le statine sia tramite la betulina, causa la formazione di aggregati di una proteina chiamata neuroserpina.

La neuroserpina è una proteina coinvolta nello sviluppo del cervello e nella sopravvivenza dei neuroni. Mutazioni nel gene che codifica per la neuroserpina portano alla produzione di una versione anormale della proteina, che tende ad attaccarsi alle sue simili formando aggregati all’interno dei neuroni. Questi accumuli anomali, a loro volta, provocano la Fenib, una malattia neurodegenerativa ereditaria molto rara, caratterizzata da demenza ed epilessia.

Ma le cellule usate negli esperimenti non avevano nessuna mutazione nel gene della neuroserpina. Eppure, una prolungata esposizione a sostanze in grado di ridurre il colesterolo nelle membrane cellulari ha provocato un drastico aumento degli aggregati di questa proteina, indipendentemente dal gene.

Il calo del colesterolo può danneggiare diverse caratteristiche delle membrane cellulari, tra cui la formazione delle vescicole, piccole strutture usate per trasportare sostanze, incluse le proteine, all’interno della cellula. I ricercatori utilizzando un modello matematico hanno confermato l’ipotesi che sia proprio il malfunzionamento di questo sistema di trasporto a provocare l’accumulo di neuroserpina, che porta alla formazione di aggregati anche in assenza di mutazioni dannose al suo gene.

I risultati suggeriscono che trattamenti a lungo termine con le statine possono innescare l’aggregazione della neuroserpina, anche in assenza di una predisposizione genetica. Il che non significa  che chi prende le statine si ammalerà di Fenib e saranno necessari ulteriori studi per chiarire questo aspetto. Di certo, però, l’aggregazione di proteine non è un processo normale. Inoltre, la neuroserpina non è l’unica proteina che potrebbe essere influenzata dalla diminuzione del colesterolo delle membrane.


I ricercatori non possono escludere che l’alterazione delle membrane e del sistema di trasporto intracellulare possano provocare l’aggregazione anche di altre proteine. Inoltre, gli aggregati di neuroserpina sono stati associati non solo alla Fenib, ma anche ad altre malattie neurodegenerative meno rare, come l’Alzheimer.

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