Sanihelp.it – Le pillole per abbassare la pressione arteriosa potrebbero incidere negativamente sull’organismo, aumentando, persino fino al 31%, il rischio di insorgenza del cancro ai polmoni in soggetti ipertesi. A sostenerlo è un team di ricercatori del canadese Dipartimento di Epidemiologia, Biostatistica e Salute del lavoro dell'Università McGill di Montreal, in collaborazione con colleghi del Jewish General Hospital e dell'Università di Toronto.
Secondo gli scienziati, coordinati dal professor Laurent Azoulay, la responsabilità andrebbe addebitata agli ACE-inibitori, ovvero gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina (ACE, acronimo di Angiotensin Converting Enzyme): si tratta di alcuni dei farmaci più prescritti nelle terapie di controllo della pressione arteriosa. Basti pensare che il più comune ACE-inibitore, il Ramipril, nel 2017 è stato prescritto oltre 27 milioni di volte nella sola Inghilterra, mentre negli USA ci sono circa 163 milioni di prescrizioni ogni anno.
Per giungere a questa associazione fra cancro al polmone e farmaci per abbassare la pressione i ricercatori hanno svolto un'analisi statistica sui dati di quasi un milione di persone, tutte trattate con antipertensivi tra il 1° gennaio 1995 e il 31 dicembre del 2015. I partecipanti coinvolti nello studio, residenti in Gran Bretagna, erano tutti di età superiore ai 18 anni e non avevano una storia di cancro alle spalle. Durante il periodo di follow-up i medici hanno diagnosticato 8mila casi di cancro al polmone. Incrociando tutti i dati e isolando i fattori di rischio normalmente associati a questa neoplasia, Azoulay e colleghi hanno osservato che gli ACE-inibitori erano legati ad un aumento del rischio del cancro del polmone del 14% rispetto ad altri farmaci ipotensivi; nei pazienti che assumevano gli ACE-inibitori da 10 anni l'aumento del rischio è risultato essere persino del 31%.
Secondo gli autori della ricerca, la ragione la ragione per cui gli ACE-inibitori aumenterebbero il rischio di ammalarsi risiederebbe nel fatto che essi favoriscono l'accumulo di sostanze chimiche nel tessuto polmonare, come la bradichinina e la sostanza P, la prima delle quali è stata associata allo sviluppo del cancro al polmone. È bene precisare comunque che i risultati di quest'ultimo studio, pubblicati sul British Medical Journal, sono stati accolti con scetticismo da diversi colleghi, i quali hanno sottolineato di non giungere a conclusioni affrettate e che è prematuro parlare di effettivo rischio cancro.