Sanihelp.it – L’ambliopia è il disturbo meglio noto come occhio pigro: non è tipico solo dell’infanzia, ma può insorgere anche in età adulta.
Nel bambino la condizione è trattabile prima degli otto-nove anni di età, ma nell’adulto non è curabile a causa della riduzione dei livelli di plasticità cerebrale del cervello.
La condizione può insorgere anche in età adulta a causa di forti differenze nel potere rifrattivo dei due occhi (anisometropia), opacizzazioni della cornea, strabismo, cataratta congenita e comporta una marcata riduzione delle capacità visive, in particolare dell’acuità visiva e della stereopsi (visione della profondità).
Uno studio pubblicato sulla rivista Annals of Clinical and Translational Neurology ha evidenziato la possibilità di ottenere un marcato miglioramento delle funzioni visive anche in adulti affetti da ambliopia attraverso lo svolgimento dell’attività fisica.
«Gli studi che ho condotto su modelli animali hanno mostrato che l’attività fisica potenzia la plasticità cerebrale, ossia la capacità dei circuiti del cervello di cambiare struttura e funzione in risposta agli stimoli ambientali» spiega Alessandro Sale dell'Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In). «D’altro canto, gli studi effettuati dal mio gruppo su soggetti umani hanno evidenziato una plasticità visiva che si mantiene anche negli individui adulti e che agisce su tempi brevi: la chiusura temporanea di uno dei due occhi porta al miglioramento della percezione visiva in quell’occhio- aggiunge Maria Concetta Morrone dell’Università di Pisa che conclude -Anche questo tipo di plasticità visiva, definita omeostatica, si potenzia in risposta all’attività fisica volontaria nelle persone sane».
Nel nuovo studio è emerso che potenziando nell’adulto questa plasticità omeostatica con l’attività fisica si migliora in modo permanente la visione dell’occhio pigro.
«Un gruppo di dieci persone ambliopi ha trascorso, per tre giorni consecutivi, un breve periodo di deprivazione della visione dell’occhio ambliope stando seduti di fronte a un televisore, guardando un film e alternando, durante la visione, dieci minuti di pedalata alla cyclette con dieci minuti di riposo, per tre ore complessive» raccontano i due studiosi. «La stessa procedura è stata ripetuta per altre tre settimane, riducendo il numero di giorni di trattamento per settimana da tre a uno. Ai soggetti di controllo è stata invece somministrata la deprivazione senza l’uso simultaneo della cyclette, quindi senza attività fisica».
I risultati sono stati subito evidenti. «Quanti svolgevano attività motoria hanno mostrato un marcato recupero dell’acuità visiva e della stereopsi, effetto che si è mantenuto nel tempo ed è risultato presente anche dodici mesi dopo la fine del trattamento. I soggetti di controllo, invece, hanno evidenziato solo livelli di recupero trascurabili» continuano i due ricercatori.
Lo studio rappresenta la prima dimostrazione della possibilità di utilizzare i benefici dell’attività fisica per favorire il recupero delle funzioni visive in soggetti ambliopi, ma contiene anche un’altra novità.
«La ricerca dimostra l’efficacia della chiusura dell’occhio ambliope quale strategia per favorirne il recupero» conclude Sale. «Il paradigma più usato, in questo campo, prevede lunghi periodi di occlusione dell’occhio sano, per contrastarne la predominanza e favorire l’uso dell’occhio pigro. Il lavoro pubblicato mostra invece che la chiusura dell’occhio ambliope, se avviene in condizioni che favoriscono la plasticità omeostatica, offre scenari di trattamento insperati e ancora tutti da esplorare, anche se è effettuata per periodi di tempo molto brevi».