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La predisposizione all’infarto ha origini evolutive

Infarto: una questione di DNA

Sanihelp.it – Secondo un nuovo studio, effettuato da un team di ricercatori dell'Università della California a San Diego coordinati da Nissi Varki, noi esseri umani siamo più predisposti all'infarto rispetto agli altri primati a causa della perdita di un gene, scomparso dal DNA dei nostri antenati circa 3 milioni di anni fa.


Nella ricerca, pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences, Varki porta a compimento anni di studi sul problema dell'aterosclerosi, l'indurimento progressivo delle arterie e in particolare delle coronarie, accompagnato dalla formazione di placche lipidiche. Una decina di anni fa, lo studioso osservò infatti che gli attacchi di cuore dovuti a questo disturbo non si verificano non soltanto negli altri mammiferi, ma nemmeno negli scimpanzè, i primati più simili a noi dal punto di vista evolutivo. Gli attacchi di cuore non avvengono neppure quando questi animali condividono con noi gli stessi fattori di rischio di malattie cardiovascolari: ipertensione, scarsa attività fisica o elevati livelli di colesterolo nel sangue. Ciò, peraltro, è coerente col fatto che negli esseri umani il 15% circa degli eventi cardiovascolari non si può ricondurre a fattori di rischio riconosciuti, quali l'età, l'obesità e il fumo di sigaretta, oltre a quelli già elencati.

Successivamente Varki scoprì che gli esseri umani sono gli unici animali ai quali manca l'acido N-glicolil neuraminico (Neu5Gc), un particolare acido sialico che svolge diverse funzioni sulla superficie delle cellule; rilevando poi che il gene corrispondente è andato perdendosi nel corso dell'evoluzione, lasciando il posto ad un acido sialico diverso, probabilmente per effetto di una selezione sui nostri antichi antenati prodotta dalla malaria. 

I ricercatori hanno poi scoperto che il sistema immunitario umano reagisce contro la presenza di Neu5Gc, generando uno stato infiammatorio che potrebbe avere un ruolo centrale nell’insorgenza di malattie come l'aterosclerosi. Nell'ultima ricerca, Varki e colleghi hanno verificato questa ipotesi, realizzando topi di laboratorio geneticamente modificati in modo che in essi non fosse presente Neu5Gc. Ebbene, i roditori hanno mostrato un accumulo di placche aterosclerotiche decisamente superiori rispetto ai topi normali. 

Secondo gli scienziati la perdita del gene che codifica per il Neu5Gc nel corso dell’evoluzione abbia determinato una predisposizione alla formazione di placche aterosclerotiche, che può essere indotta sia da fattori dietetici – in primo luogo dal consumo di carne rossa, ricca di Neu5Gc – sia da fattori non dietetici. Ad esempio, nei topi modificati, l'aumento del rischio sembra determinato da molteplici fattori, tra cui la presenza di globuli bianchi iperattivi e una tendenza al diabete; ciò spiegherebbe perché anche soggetti vegetariani, senza altri evidenti fattori di rischio cardiovascolare, sono ancora molto esposti a infarti e ictus, mentre altri primati non lo sono.

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