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SARS-CoV2-2 e gestione delle patologie acute e croniche

Sanihelp.it – «Il dolore cronico, quasi sempre associato a patologie croniche, ha lo stesso impatto invalidante sulla vita dei pazienti del cancro, dell'Alzheimer o del Parkinson – spiega Giovanni Iolascon, Ortopedico e Fisiatra e Direttore esecutivo della Società Italiana per la Gestione Unificata ed Interdisciplinare del Dolore muscolo-scheletrico e dell’Algodistrofia (G.U.I.D.A) – Molto spesso il dolore cronico rappresenta l’evoluzione di un dolore acuto con il conseguente innesco di una serie di eventi che vanno dalla disabilità parziale o totale del paziente, all’aumentato rischio di complicanze. Con queste premesse è chiaro come la gestione del dolore acuto, ed in particolar modo quella del dolore cronico, non possa essere trascurata, e richieda spesso l’uso di farmaci antinfiammatori ad uso prolungato. In questo contesto la pandemia da COVID-19 ha rappresentato un problema sanitario serio per la gestione ambulatoriale delle condizioni morbose che comportano un dolore cronico muscolo-scheletrico. Come è stato ripetutamente affermato dai vari esperti, la prima raccomandazione per i pazienti con dolore cronico è quella di non abbandonare le terapie per il timore dell’epidemia. Al contempo si è però ipotizzato un possibile effetto negativo di alcuni farmaci della terapia del dolore sul rischio di contrarre l’infezione e/o di peggiorarne il decorso e la prognosi, con l’esito di generare nella popolazione un po' di confusione».


Il dolore cronico muscolo scheletrico è una realtà con la quale moltissime persone devono fare i conti secondo i dati dell’osservatorio sul dolore cronico in Italia è un problema che riguarda il 26% della popolazione, mentre la percentuale sale al 74% se si considera la fascia di popolazione compresa tra i 60 e gli 80 anni.

è un dolore che si localizza  principalmente a livello della parte superiore e inferiore della schiena, il capo, il collo e le articolazioni, principalmente il ginocchio.

Il dolore cronico è più frequente nell’anziano, nella popolazione a basso reddito e tra le donne.

Le cause che possono determinare il dolore cronico sono molteplici, tra le più comuni: l’artrosi e le artriti (nel 42% dei casi), le lombalgie, i dolori delle spalle e del collo, i disturbi del disco intervertebrale, le fratture, le cefalee, le sindromi da dolore delle fasce muscolari.

Gli esperti sottolineano come vada tenuto sempre in considerazione l’effetto soppressivo che le diverse  classi di farmaci usati nella gestione del dolore hanno sul sistema immunitario, che però non devono indurre i pazienti ad interruzioni improvvise delle terapie, né tantomeno evitare nuove prescrizioni.

Analizzando le diverse categorie di farmaci, e partendo dagli oppioidi, previo un consulto con il proprio medico di riferimento, un atteggiamento ragionevole potrebbe essere quello di prevedere la riduzione dei dosaggi nei soggetti già in terapia o utilizzare oppioidi a breve durata d'azione.


Per quanto riguarda gli antidolorifici steroidei, in questo caso l’effetto depressivo della risposta immunitaria (tuttavia ridotto nella somministrazione intra-articolare) potrebbe essere addirittura considerato favorevole per ridurre il rischio di sviluppare la cosiddetta »tempesta immunitaria» elemento cruciale della polmonite interstiziale da COVID-19 ed altre manifestazioni cliniche. L’effetto dei corticosteroidi nei soggetti con COVID-19, però, è ancora dibattuto.

Ulteriore oggetto di discussione è stato l'utilizzo di farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) sul quale si è da tempo espressa l’agenzia europea del farmaco che ha pubblicato una comunicazione che evidenzia come non vi siano prove scientifiche che stabiliscano una correlazione tra i farmaci a base di Ibuprofene o Ketoprofene e il peggioramento del decorso della malattia da COVID-19.

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