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Osteoporosi: cattiva gestione di chi ne soffre

Sanihelp.it – Durante l’edizione 2020 di OsteoDay, l’evento scientifico annuale che ha riunito in modalità virtuale i diversi specialisti coinvolti nella presa in carico del paziente con osteopenie ortopedici, reumatologi, geriatri, fisiatri, internisti, hanno discusso della presa in carico dei pazienti con osteoporosi.


In Italia si stima che ci siano circa 4,5 milioni di persone affette da osteoporosi, per i due terzi donne, costrette a fare i conti con ossa fragili e sottili, a rischio frattura, anche in assenza di traumi.

Si stima che dopo i 50 anni, 1 donna su 3 e 1 uomo su 5 siano destinati a subire una frattura, che in genere si manifesta in forma clinicamente più grave nel sesso maschile.

«L’80% dei pazienti con osteoporosi arriva in ritardo alla diagnosi anche quando avviene a seguito di una frattura del femore, che dovrebbe far porre il sospetto. A maggior ragione, pertanto, si tende a trascurare l’impatto delle fratture vertebrali che, nella metà dei casi, sono silenti o paucisintomatiche – spiega Bruno Frediani, professore ordinario di Reumatologia all’Università di Siena e responsabile scientifico dell’evento -. Per questo motivo è fondamentale una valutazione approfondita dei fattori di rischio: età, predisposizione genetica, presenza di patologie infiammatorie concomitanti, assunzione di specifiche categorie di farmaci, cambiamenti ormonali, senza trascurare che il calo degli estrogeni (gli ormoni che contribuiscono a mantenere la salute dell’osso) tipicamente associato alla menopausa, interessa anche l’uomo. Una strategia diagnostica efficace dovrebbe prevedere, a partire dai 60 anni per la donna e dai 70 anni per l’uomo, l’esecuzione di un esame radiologico della colonna, da ripetersi ogni due anni, finalizzato a valutare l’eventuale abbassamento del corpo vertebrale, per prevenire il rischio di ulteriori fratture».

Gli esperti riuniti a congresso hanno focalizzato l’attenzione anche sul ruolo dello stile di vita, sull’assunzione di calcio tramite la dieta e sull’attività fisica per la prevenzione dell’osteoporosi. «Il raggiungimento del picco di massa ossea – aggiunge il prof. Frediani – che si realizza intorno ai 30 anni, è ascrivibile per l’80% a fattori genetici e per il 20% a corrette abitudini di vita. Arrivare in età adulta, a ridosso della menopausa, con una riserva di massa ossea del 20% in più o in meno rispetto a quella ricevuta da madre natura, può cambiare le prospettive dei pazienti».

Due aspetti cruciali ai fini di una corretta gestione dell’osteoporosi sono da un lato l’appropriatezza terapeutica e dall’altro l’aderenza al trattamento, ma per entrambi permangono delle criticità.

«Solo 2 pazienti su 10 – conclude il prof. Frediani – ricevono una terapia appropriata, che dovrebbe sempre prevedere l’associazione di farmaci anti-fratturativi, bisfosfonati in prima linea, e vitamina D. La sola terapia di integrazione con la vitamina D, infatti, si è dimostrata inefficace nella prevenzione delle fratture. Un monito per gli specialisti, ma anche per i pazienti che, nel 50% dei casi, abbandonano le terapie entro un anno dall’inizio del trattamento».


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