Sanihelp.it – Nonostante i continui progressi nel trattamento delle neoplasie, i tumori astrocitari rappresentano ad oggi una delle sfide più difficili nel migliorare la prognosi per i pazienti con aspettative di vita ridotte a pochi mesi di sopravvivenza dalla diagnosi.
Il laboratorio di Oncogenomica Funzionale, diretto dal Prof. Comincini presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università di Pavia, attivo da anni nella ricerca e sviluppo di protocolli preclinici per il trattamento dei tumori astrocitari dell’uomo, in collaborazione con i colleghi del Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Farmacia dell’Università di Sassari (Prof.ssa Gavini e Dr.ssa Demartis), ha voluto saggiare l’efficacia antitumorale del fotosensibilizzante Rosa bengala in modelli sperimentali cellulari di tumori astrocitari umani.
L’articolo è stato pubblicato sul numero di agosto della rivista Cells.
Lo studio è durato alcuni anni ed è inerente alla strategia terapeutica antitumorale nota come terapia fotodinamica.
Questo approccio sfrutta le proprietà biochimiche di alcuni composti, naturali o di sintesi, di emettere energia in seguito a particolari stimolazioni energetiche visive che determinano, all’interno delle cellule che hanno incamerato i composti fotosensibili, la produzione di specie reattive dell’ossigeno, particolarmente tossiche per le stesse cellule.
Tra i numerosi fotosensibilizzanti impiegati da anni nella ricerca, il composto di sintesi Rosa bengala presenta interessanti proprietà spettrali e di autofluorescenza, nonché favorevoli caratteristiche terapeutiche oncologiche nei melanomi e per il trattamento di patologie oftalmologiche come i disturbi congiuntivali e palpebrali.
Le cellule dei tumori astrocitari sono in grado di attuare meccanismi di resistenza al trattamento fotodinamico poiché limitano l’ingresso del composto al loro interno e allo stesso tempo se ne liberano attraverso un efficiente meccanismo di rilascio.
L’intuizione dei ricercatori per superare queste difficoltà è stata duplice: in primo luogo hanno costretto le cellule tumorali ad acquisire dall’ambiente esterno quanto più possibile in termini di molecole terapeutiche, attraverso una dieta povera di aminoacidi e sfruttando la necessità della cellula tumorale di una maggiore funzionalità metabolica rispetto a una cellula normale, e, in secondo luogo, bloccando farmacologicamente i meccanismi di rilascio extracellulare del composto Rosa bengala e favorendo quindi la sua permanenza all’interno della cellula.
«Con questo lavoro multidisciplinare – afferma Sergio Comincini, coordinatore dello studio – abbiamo evidenziato un importante punto debole della cellula tumorale, ovvero la sua voracità metabolica che la obbliga in certe situazioni a captare dall’esterno molecole e potenziali nutriliti per consentire un crescente fabbisogno energetico e proliferativo. In queste condizioni, composti terapeutici potrebbero essere facilitati nel loro ingresso e nella loro funzionalità biochimica, bloccando simultaneamente anche i meccanismi di detossificazione che la cellula tumorale è purtroppo in grado di attuare, migliorando quindi complessivamente l’efficacia terapeutica. La dimostrazione funzionale della strategia è stata infatti quella di essere riusciti ad introdurre efficacemente e con bassi dosaggi farmacologici un composto come il Rosa bengala difficilmente assorbibile dalle cellule tumorali, sufficienti tuttavia per poter attivare il trattamento sperimentale basato sulla terapia fotodinamica. Crediamo, infine, che la strategia sviluppata possa essere favorevolmente impiegata con altri composti terapeutici in diversi contenti oncologici».