Sanihelp.it – La persona affetta da emofilia può fare sport?
Quali sono quelli consigliati?
A causa della carenza di protocolli e linee Guida definite sull’accesso e la pratica delle attività motorie si è pensato di svolgere un’indagine sul territorio regionale pugliese, a cura di CSL Behring e condotta da Doxapharma con il coordinamento e la supervisione scientifica del Centro Emofilia Pediatrico del Policlinico-Giovanni XXIII di Bari.
Il questionario conoscitivo è stato distribuito a 21 clinici della Regione Puglia: 6 Ematologi/Pediatri responsabili dei Centri Emofilia e 15 specialisti in Medicina dello Sport, distribuiti nelle provincie del territorio.
Attraverso questo questionario è stato possibile conoscere le modalità e i tempi di accesso alla pratica sportiva dei soggetti con emofilia, far emergere le aspettative o le difficoltà dei medici esperti nel proporre l'attività sportiva, rintracciare e identificare le criticità nei percorsi per l’avviamento alla pratica sportiva organizzata e/o amatoriale.
Andando ad analizzare le risposte del questionario si è visto che esistono barriere nell’accesso alla pratica sportiva per una carente o inefficace comunicazione, da parte dei medici, sulle possibilità concrete dell'attività sportiva nei soggetti con emofilia e per i timori dei pazienti/caregivers sull’incolumità fisica.
Barriere che mettono in risalto la necessità di sviluppare, a livello territoriale, consapevolezza attraverso l’informazione capillare.
Dall’indagine è emerso, inoltre, l’accordo tra tutti i medici che la sana attività fisica fa bene alle articolazioni degli emofilici a tal punto che in futuro si può prevedere una vera e propria prescrizione dell’esercizio fisico.
«I benefici sono ben noti in letteratura e comprendono la stabilità e la funzionalità articolare, riduce il rischio di episodi emorragici acuti e le conseguenti complicanze» ribadisce la Professoressa Paola Giordano, Direttore del Centro Emofilia Pediatrico del Policlinico-Giovanni XXIII di Bari.
«Non solo l'esercizio fisico regolare migliora il benessere muscolo scheletrico e la qualità della vita, ma migliora il benessere psicologico, emotivo e permette una vita sociale serena».
Dalla Survey è emerso come 1 paziente su 3 (93 dei 300 pazienti in carico) chiede all’ematologo/pediatra, durante la visita periodica di check up, consigli per praticare un’attività sportiva e il 16% la pratica effettivamente (circa 48 pazienti).
Di questi il 98% praticano sport a livello amatoriale e solo il 2% una attività di tipo agonistico.
Dai dati emerge, inoltre, che se un soggetto con emofilia si rivolge allo specialista in Medicina dello Sport nel 71% lo fa per chiedere consiglio e nel 67% per avviarsi alla pratica sportiva.
Solo il 20% dei pazienti che si rivolgono allo specialista dello sport giunge a praticare sport agonistico.
Dall'analisi statistica però è emerso che solo tra il 33% e il 43% di quelli che fanno attività sportiva hanno più di 18 anni mentre la maggioranza sono bambini, con una spiccata maggioranza della fascia 7-12 anni (41-42%).
«Sembra che con l’incrementare dell'impegno scolastico ci sia un graduale abbandono dello sport e che con l'ingresso nel mondo del lavoro molti rinuncino definitivamente. Eppure l’educazione motoria dovrebbe essere a vita. Rispettando alcune semplici regole (terapia farmacologica personalizzata ed in profilassi, aderenza alla terapia la scelta di sport adeguato alle proprie caratteristiche muscolo-scheletriche) l’attività sportiva nel soggetto con emofilia non deve essere negata bensì consentita» spiega il Dottor Giuseppe Lassandro, Dirigente Medico del Centro Emofilia Pediatrico del Policlinico-Giovanni XXIII di Bari
Tra gli sport consigliati la fa da padrone il nuoto indicato come ideale dal 67% degli ematologi e caldeggiato dal 93% dei medici dello sport.
Seguono le discipline dell’atletica leggera, gli sport di racchetta (tennis, badminton, ping-pong) e la scherma.
Dall’indagine si sconsigliano gli sport di contatto ( pugilato, arti marziali, calcio, pallacanestro, rugby, automobilismo e motociclismo) seppure c’è poca conoscenza di cosa sia uno sport di contatto (ad esempio i clinici dell’emofilia consigliano il ciclismo, ritenuto ad alto rischio dai medici dello sport) e comunque ogni attività potrebbe essere condotta se adeguatamente allenati e trattati farmacologicamente.
Certo la pratica sportiva deve prevedere un’attenta valutazione da parte del medico che tenga conto della gravità della malattia e della scelta dello sport.
Bisogna scardinare alcune idee infondate come che lo sport possa provocare una riacutizzazione della malattia.
Basta praticare un’attività lieve o moderata e avere una adeguata preparazione per poter svolgere uno sport bisogna però creare delle sinergie tra ematologo, medico di medicina generale e medico dello sport sotto a protocolli istituzionali condivisi.
Esiste infatti anche il timore di eventi emorragici non prevedibili a causa della scarsa conoscenza dell'emofilia da parte dei sanitari.
Ci sono poi barriere culturali: paura da parte del paziente stesso, una famiglia che si oppone, spesso perché manca una comunicazione chiara e corretta, e il mancato rilascio della certificazione di idoneità alla pratica sportiva, che in alcuni casi è percepito come un iter troppo lungo e impegnativo.
Per l'attività agonistica inoltre l'80% dei medici invia sempre ad altri specialisti per ulteriori accertamenti (ematologo ma anche cardiologo, ortopedico e fisiatra).