Contro la mononucleosi, essendo di origine virale, non vi sono cure specifiche, a eccezione degli antivirali di ultima generazione, che però vengono utilizzati solo in casi particolarmente gravi.
Nelle forme virali gli antibiotici non servono. Ma sia per il fatto che la malattia si può confondere con la tonsillite, sia per il fatto che molti medici, purtroppo, sono ancora convinti che febbre e mal di gola richiedano l'uso di antibiotici, capita spesso che la prima cura per contrastare i sintomi della malattia sia proprio a base di antibiotici.
La reazione a questo approccio (per esempio con l’antibiotico amoxicillina) è una delle conferme più evidenti della presenza di mononucleosi. Nel soggetto infetto si manifesta una tipica reazione similallergica che riempie il volto, e a volte anche il corpo, di macchie pruriginose. Tra l’altro per combattere questa reazione si utilizzano antistaminici e cortisonici che riducono ulteriormente la capacità immunitaria del soggetto.
Normalmente una persona smette di essere infettiva dopo circa 5-7 giorni dalla cessazione dei sintomi più evidenti. In realtà la eliminazione del virus per via salivare è oltremodo variabile, ma quel tempo è ritenuto in genere sufficiente per riprendere la vita di relazione scolastica o di ufficio.
Un dato su cui è meritevole porre attenzione è la possibilità della splenomegalia, l'ingrossamento della milza, che evidenzia l'unica importante complicazione non batterica della mononucleosi.
In alcuni casi è infatti possibile che la milza si ingrossi, e in quel caso fino al recupero delle dimensioni originali è indispensabile mantenere un riposo attivo (la persona cioè può cautamente andare in ufficio o a scuola, ma non può mettersi a correre e saltare o fare ginnastica per le possibili complicazioni che ne possono derivare). In quel caso il medico visitando può percepire l'ingrossamento, e in alcuni casi può essere utile verificare la riduzione con una ecografia.