Sanihelp.it – Il 93 per cento della comunicazione che si stabilisce fra medico e paziente è di tipo non verbale, in cui posture del volto e movimenti inconsci possono tradire le parole rivelando ciò che le parti pensano veramente. Capire la mimica facciale e i messaggi impliciti può aiutare a rafforzare il rapporto fra chi cura e chi è curato – specie se il paziente è un bambino e il tramite col pediatra è la sua mamma – e influenzare positivamente l’esito della terapia.
Con questi due obiettivi in mente, pediatri esperti e specializzandi dell’IRCCS materno-infantile Burlo Garofolo di Trieste hanno acconsentito a essere ripresi – contemporaneamente ai genitori dei loro piccoli pazienti – durante alcuni incontri ambulatorali. I filmati sono stati poi analizzati usando il sistema FACS (Facial Action Coding System), ideato da due ricercatori statunitensi, che decodifica le espressioni facciali associandole a emozioni specifiche, le quali vengono registrate con cambiamenti dei muscoli della fronte, delle sopracciglia, delle palpebre, delle guance, del naso, delle labbra e del mento.
Dai filmati è emerso che le pediatre donne sono più inclini al sorriso mentre i pediatri uomini, specie se giovani, tendono a esprimere perplessità, scetticismo o sorpresa. Tutte modalità di comunicazione che, agli occhi del genitore, spesso risultano fonte di inquietudine. Da parte dei genitori, la partecipazione emotiva è stata evidente e tra le reazioni immediate durante il colloquio con il medico sono stati registrati sorrisi, ansia e sorpresa. Nella maggior parte dei casi, il genitore si congedava dal medico con un sorriso sincero.
Si tratta del primo studio del genere realizzato in Italia. I risultati hanno permesso ai pediatri di introdurre nella comunicazione non verbale specifici accorgimenti.
Agendo su gesti, espressione del volto e tono di voce è possibile infatti migliorare la relazione interpersonale che si instaura fra pediatra e genitore portando quest’ultimo a fidarsi maggiormente dello specialista, inducendolo ad aprirsi in fase di descrizione del problema e portandolo a seguire più scrupolosamente le indicazioni terapeutiche.
Al contrario, alcuni atteggiamenti andrebbero evitati: per esempio, tenere le braccia incrociate sul petto, guardare il paziente con poca empatia o, viceversa, fissarlo con troppa insistenza.
Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Medico e Bambino, ma la ricerca sta proseguendo in tutto il Friuli Venezia Giulia.