Sanihelp.it – Corsetti che strizzano la vita, crinoline che gonfiano gonne a corolla, occhi cerbiatto delineati da eye-liner, guanti, fili di perle e tacchi a spillo, furono la base di un nuovo stile, il New Look, che trionfò in questi anni post-bellici.
Il ritorno a una fastosità e a un’eleganza ricercata dal sapore antico di fine ‘800, fu una chiara reazione allo stato di povertà portato dalla guerra.
Da un lato rinasceva l’haute couture a livello internazionale, e la ‘signora Dior’ diventava un oggetto di lusso come l’automobile, ma dall’altro questo portò a un rallentamento dell’evoluzione femminile, poiché scomparve l’immagine forte e indipendente della donna impegnata nel sociale e per la guerra
La nuova eleganza anni ’50 firmata da Christian Dior si diffuse in America e in tutta Europa. Il couturier vestiva il mondo del sogno: chi partecipava ai party lussuosi con i primi abiti da cocktail o alle stravaganti feste in maschera, dagli intellettuali agli aristocratici, attrici e principesse.
Accanto a lui, Roger Vivier, stilista francese geniale di calzature, che collaborerà con la Maison Dior per un decennio.
Ventidue linee diverse modellarono il corpo della donna in poco più di dieci anni: i primi look rigidi in stile Secondo Impero, con la vita segnata da corpetti, e fianchi accentuati, sbocciarono in successive silhouette a corolla, morbide sul busto con gonne danzanti larghissime.
Dopo il New Look, dalla metà del decennio subentrò la linea ‘H’, che assottigliava e allungava il busto in virtù di gonne lunghe, ampie e drappeggiate, mentre la ‘A’ conquistò gli Stati Uniti grazie alla sua praticità con abiti a vita bassa e gonne a pieghe fino al ginocchio.
Altri stilisti di questi anni: Cristobal Balenciaga, Hubert de Givenchy, Louis Feraud (stilista di Liz Taylor, Brigitte Bardot, Grace Kelly).
Coco Chanel ritorna dopo la guerra presentando l’alternativa al New Look Dior: il tailleur in tweed, ‘l’abito perfetto’, composto da giacca, blusa e una gonna o abito senza maniche, da indossare in un total look con le classiche collane a fili di perle, le borse trapuntate a catena e le décolleté bicolore con la punta contrastante.
Nel frattempo lo scenario americano era cavalcato dalla moda pronta, che si adattò perfettamente ai ritmi frenetici della massa.
La diffusione della confezione industriale sanciva così la definitiva democratizzazione del fashion system, alla quale si opposero le prime mode giovanili. La gioventù bruciata si ribellava alla società consumistica, satura di ipocrisia e di falsi valori.
I segnali di ribellione prendevano forma nelle T-shirt, nei jeans indossati anche dalle ragazze, nei giubbotti di pelle, negli stivaletti militari, lanciati dai divi irresistibili del cinema come Marlon Brando e James Dean.
La comodità era all’ordine del giorno: le ragazze si scatenavano a ritmo di Rock’n’Roll, con i capelli raccolti in code a cavallo, vestite da gonnelline a ruota e camicette aderenti, scarpe basse e calze corte; i ragazzi avevano il classico ciuffo sulla fronte rocker style alla Elvis Presley e indossavano camicia e maglione con jeans o pantaloni sportivi.
Anche in Italia prevalse il New Look, interpretato dalle sartorie più prestigiose: tra i tanti Emilio Shuberth, le Sorelle Fontana, Biki, Pucci, Valentino, Cappucci.
Grazie a Giovanni Battista Giorgini, buyer internazionale che gestiva da tempo rapporti commerciali con gli americani, il 12 febbraio 1951, con una sfilata di 170 modelli di firma italiana a Firenze, venne sancita la nascita della moda italiana: il prodotto made in Italy si impose sul mercato mondiale, distinguendosi da quello americano per l’alta qualità sartoriale unita ad una solida tradizione artigianale: tessuti ricercati, tagli impeccabili, cura nei dettagli, comodità alla mano.
Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Ava Gardner, Jackie Kennedy, Soraya imperatrice di Persia, Maria Pia di Savoia, Maria Callas, indossavano la moda italiana rendendo omaggio alla loro genuina bellezza.