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Mobbing, un problema reale

Sanihelp.it – A tutti può capitare, in ufficio, di vivere situazioni poco piacevoli: una collega pettegola che sparla alle tue spalle, un collega che fa apprezzamenti pesanti sulla tua scollatura, un capo che ti rimprovera davanti a tutti in modo poco educato.


Tutto questo è mobbing, una forma di prepotenza psicologica che si effettua senza un coinvolgimento o un contatto fisico.

Il concetto di mobbing sul posto di lavoro è stato sviluppato nel 1980 da uno psicologo tedesco di nome Heinz Leymann, e potrebbe essere descritto come una trama sottile che coinvolge colleghi, subordinati e superiori che abusano di qualcuno tramite pettegolezzi, suggerimenti malcelati, l’isolamento o l’umiliazione pubblica.

Più nello specifico, l’Ente nazionale per la Salute e la Sicurezza svedese ha tracciato un elenco delle possibili forme di mobbing, applicabile in tutte le realtà lavorative:

  • calunniare o diffamare un lavoratore, oppure la sua famiglia
  • negare deliberatamente informazioni relative al lavoro oppure fornire informazioni non corrette a riguardo;
  • sabotare o impedire in maniera deliberata l’esecuzione del lavoro;
  • escludere in modo offensivo il lavoratore, oppure boiccottarlo o disprezzarlo;
  • esercitare minacce, intimorire o avvilire la persona, come nel caso di molestie sessuali;
  • insultare, fare critiche esagerate o assumere atteggiamenti o reazioni ostili in modo deliberato;
  • controllare l’operato del lavoratore senza che lo sappia e con l’intento di danneggiarlo;
  • applicare sanzioni penali amministrative a un singolo lavoratore senza motivo apparente, senza dare spiegazioni, senza tentare di risolvere insieme i problemi.

Le cause di questi comportamenti sono molteplici, e quasi sempre non dipendono da un’unica persona: carenze relative all’organizzazione del lavoro e del sistema informativo interno, una gestione inadeguata del modo di lavorare, un carico di lavoro eccessivo o al contrario insufficiente, il tipo di prestazione lavorativa richiesta, carenze nella politica del personale scelta dal datore di lavoro,o , ancora, il tipo di atteggiamento tenuto dal datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti e le sue eventuali reazioni.

Tutte queste condizioni possono causare forti tensioni mentali negative nei gruppi di lavoratori, diminuendo la capacità di tolleranza dello stress e inducendo la cosiddetta «mentalità del capro espiatorio», che porta ad attivare comportamenti di rifiuto nei confronti di un singolo lavoratore.

Anche se l’esistenza del mobbing è sempre più conosciuta, molto spesso si tende a non parlarne per paura di perdere il posto o di subire soprusi ancora maggiori.


Niente di più sbagliato. Dal 31 marzo 1994 è in vigore in Italia una legge che tutela il lavoratore nei confronti dei fenomeni di mobbing sul posto di lavoro, e la legge parla chiaro: le forme di persecuzione psicologica nel corso dell’attività lavorativa non possono essere tollerate.

La cosa giusta da fare è parlarne chiaramente con il datore di lavoro, oppure rivolgersi alle autorità competenti o ai sindacati, che organizzano anche gruppi di aiuto e supporto per il reinserimento nell’ambiente lavorativo di persone vittime del mobbing.

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