Sanihelp.it – Tutto comincia con una strana debolezza alle mani, un disturbo che progredisce rendendo difficili azioni quotidiane che richiedono precisione nelle dita, come digitare un sms, chiudere i bottoni della camicia, scrivere al pc, usare le chiavi, pettinarsi. Dopo il medico di base i malati arrivano al neurologo: è il primo passo verso la diagnosi corretta, che però può anche arrivare dopo 2 o 3 anni dai sintomi e dopo trattamenti inappropriati.
La malattia che affligge questi individui, per lo più uomini tra i 20 e i 50 anni, è rara e interessa circa 1 persona ogni 100.000. Si chiama neuropatia motoria multifocale (Multifocal Motor Neuropathy – MMN) e origina da un'improvvisa disregolazione del sistema immunitario. Per i sintomi con cui si presenta non è inusuale che ai malati venga ipotizzata una prima diagnosi errata: quella di sclerosi laterale amiotrofica, gravissima patologia degenerativa, incurabile e a esito fatale.
A differenza di quest’ultima, però, la MMN può essere curata. L’importante è arrivare precocemente alla diagnosi e cominciare subito il trattamento indicato: la somministrazione di immunoglobuline a uso endovenoso indicate per questa patologia.
La terapia, che agisce sugli anticorpi IgM anti GM1, va ripetuta con una frequenza variabile (solitamente mensile) ed è efficace nell' 80% dei casi. Tuttavia, ancora oggi talvolta i malati vengo trattati in modo non efficace: a una parte di essi infatti vengono somministrate immunoglobuline a uso polivalente, non testate su questa patologia e che non hanno avuto una indicazione specifica per la cura del MMN.
In alcuni casi la malattia può andare completamente in remissione, in altri casi viene stabilizzata e tenuta sotto controllo grazie al farmaco, garantendo ai malati la possibilità di una vita socialmente e lavorativamente attiva. La terapia con immunoglobuline è costosa, ma è l’unica attualmente specifica per il trattamento di questa neuropatia. Le alternative più economiche, rappresentate per esempio dagli steroidi, per la MMN non solo non funzionano, ma rischiano di peggiorare la situazione.
Per questo la terapia con immunoglobuline deve essere considerata la prima opzione terapeutica, perché è in grado di evitare al malato una disabilità che comporterebbe un aggravio di costi sociali diretti e indiretti sul SSN.