Condividere la propria casa con una o più persone fumatrici è paragonabile a vivere in città molto inquinate come Pechino o Londra. È quanto afferma una recente ricerca condotta dall’università di Aberdeen nel Regno Unito e pubblicata sulla rivista Tobacco Control.
In questo studio, i ricercatori scozzesi hanno utilizzato le comuni tecniche di misurazione dei livelli di particelle sottili presenti nell’aria, per rilevare il tasso di inquinamento nelle case dei fumatori paragonandolo a quello delle case dei non fumatori. In seguito, hanno confrontato i risultati e elaborato una stima della quantità di polveri sottili inalate dalle persone non fumatrici che vivono con dei fumatori.
«In questa ricerca abbiamo esaminato la qualità dell’aria respirata dai non fumatori che vivono in case smoking free in confronto all'esposizione di coloro che vivono nelle città più inquinate del mondo – spiega John Cherrie dell'Istituto di Medicina del Lavoro di Edimburgo, e dell’Università di Aberdeen -. Il nostro obiettivo era far comprendere ai fumatori le pessime condizioni che creano nelle loro case. I dati rilevati sono confrontabili con quelli dei livelli di inquinamento atmosferico di tutto il mondo, poiché le tecniche di misurazione utilizzate sono le stesse che analizzano il livello delle polveri sottili (PM2.5) nell’aria».
Il fatto che l'esposizione al fumo passivo possa provocare l’insorgere di malattie respiratorie e cardiache è noto, tanto che molti Governi tra cui l’Italia hanno introdotto già da tempo misure volte a limitare l'esposizione della popolazione al fumo all'interno dei luoghi chiusi. Il cosiddetto particolato sottile (PM2.5), come le polveri sottili o la fuliggine vengono solitamente utilizzati come marcatori di seconda mano per valutare il tasso di fumo nei bar e nei ristoranti e, molto spesso, i dati dimostrano che vengono superati ampiamente i limiti imposti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.
«Lo studio è parte di un intenso programma di lavoro sul fumo passivo di sigaretta che prevede una serie di interventi per ridurre l'esposizione della popolazione al fumo – continua il ricercatore -. I dati che presentiamo derivano da quattro studi di ricerca condotti tra il 2009 e il 2013 in 93 case di fumatori e 17 di non fumatori. Abbiamo usato piccoli monitor di particolato, posti nella zona giorno delle case dei partecipanti per circa 24 ore. In tutti e quattro gli studi sono state escluse le case che avrebbero potuto avere un eccessivo livello di PM2.5».
I risultati hanno mostrato che la concentrazione media di PM2.5 nelle 93 case dei fumatori era di circa 10 volte superiore a quella riscontrata nelle 17 dei non fumatori. Di conseguenza i non fumatori che vivono con fumatori sono esposti in media a livelli di PM2.5 tre volte superiori rispetto alle linee guida ufficiali. Ciò significa che, tendenzialmente, i non fumatori in questione reespirano quantità di PM2.5 simili a coloro che vivono e lavoravano in ambienti senza fumo ma in città con alti livelli di inquinamento atmosferico come Pechino o Londra. I ricercatori hanno stimato, inoltre, che la massa complessiva di polveri sottoli inalate per un periodo di 80 anni da una persona che vive in una casa senza fumo è pari a 0.76g, contro i 5.82g inalati da coloro che vivono in una casa di fumatori.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che il fumo passivo contribuisce a creare molte centinaia di migliaia di morti ogni anno nel mondo. In generale il suo impegno sta nel garantire una serie di misure legislative, esecutive e amministrative per la protezione dei non fumatori dall'esposizione al fumo passivo nei luoghi e nei trasporti pubblici. Queste norme sono previste dall’Articolo 8 della Convenzione sul controllo del tabacco, adottata da tutti gli Stati membri dell’OMS a maggio 2003.
Questa ricerca pare prorpio un invito a eliminare il fumo anche nelle case private, ma che cosa dovrebbero fare i Governi in tal senso? Risponde ancora Cherrie: «noi non intendiamo spingere i Governi a vietare la produzione di tabacco, ma cerchiamo semplicemente di incoraggiare attivamente i fumatori a essere più responsabili e a garantire agli altri di non essere danneggiati dalle loro azioni. I fumatori vogliono fare ciò che è meglio per la salute delle loro famiglie e di coloro che amano. Ciò che abbiamo fatto è qualcosa di pionieristico, abbiamo cioè fornito un feedback preciso sulla qualità dell'aria nelle case dei fumatori e questi dati servono per sensibilizzare e motivare i fumatori a migliorare la situazione».
La strada verso una diffusione sempre più limitata del fumo pare quindi, almeno nei Paesi sviluppati, ormai spianata. In Italia, una non recentissima (2012) ma ancora attuale ricerca dell’Istituto Mario Negri di Milano ha dimostrato che anche senza ulteriori restrizioni sul fumo, il tabagismo dovrebbe calare dal 26,8 percento del 2010 sino al 20,4 percento nel 2040. Inoltre, se tutte le misure supplementari (finanziarie, informative e legislative) già esistenti, venissero messe in atto rigorosamente, in Italia i fumatori potrebbero diminuire di circa il 13 percento in poco più di un anno.