Sanihelp.it – Sanihelp.it ha incontrato il dottor Marco Focchi, psicologo, per parlare di feste e problemi psicologici. L’attenzione è ricaduta su tre aspetti: lo stress da regalo, il possibile aumento degli stati depressivi e il tema del viaggio come fuga.
Dottor Focchi, ci aiuti a comprendere cosa si intende per stress da regalo e come si origina a livello psicologico.
«Parlare di stress da regalo significa entrare nell’ambito dell’ansia legata alle aspettative. Il regalo è normalmente un segno della nostra amicizia e affezione per l’altro. Le feste lo rendono in qualche modo obbligatorio, creano cioè un’aspettativa rispetto alla quale bisogna essere all’altezza: indovinare i gusti dell’altro, trovare la giusta misura (un regalo né eccessivo e né misero) renderci presenti senza essere invadenti, esercitare la fantasia per non risultare banali.
Il regalo così diventa un dovere sociale, legato alla rappresentazione che vogliamo proiettare di noi e che vogliamo trasmettere. Ciò fa sì che, rispetto a questa rappresentazione possiamo sentirci inadeguati, e lo stress è la conseguenza di questo».
Nonostante ci apprestiamo a vivere momenti di gioia e allegria non mancano i casi di depressione, perché?
«Naturalmente tutto intorno è allegria: luci, folla in movimento, riti degli acquisti e riunioni di amici e famigliari. L’allegria è un moto spontaneo ma nasce anche dalle sollecitazioni esterne. Se però l’allegria, la gioia, la partecipazione diventano una richiesta e in qualche modo un dovere, può nascere come un moto di rifiuto. È come se il soggetto dicesse: io voglio certo l’allegria, ma se sei tu (le circostanze, la ricorrenza, l’occasione) a volerla, è come fosse imposta, e quindi come fosse snaturata, rubata, sottratta. Paradossalmente la depressione delle feste è come una rivendicazione di libertà: voglio sì essere allegro, ma non quando sono obbligato a esserlo.
Altro caso è quello di persone che per ragioni diverse, contingenti o costituzionali, sono senza motivi di allegria e vedono nelle feste un contrasto che accentua il loro stato depressivo».
Natale è forse il momento peggiore per intraprendere un viaggio: caos, prezzi elevati, posti liberi col contagocce. Perché tante persone decidono di partire proprio in questo periodo, possono esserci dei risvolti psicologici nascosti?
«Qui direi che ci troviamo nel caso opposto. Perché intraprendere un viaggio nel momento in cui tutte le condizioni sono apparentemente sfavorevoli? Certo non va sottovalutato l’aspetto pratico di organizzazione della vita: per molti il periodo delle vacanza è l’unica possibilità di sottrarsi ai ritmi di lavoro.
Ci può essere però un risvolto psicologico più nascosto, legato all’ansia di partecipazione. Basti pensare alle feste faraoniche che hanno accompagnato la scadenza del capodanno 2000: la data aveva qualcosa di simbolico e di unico, quindi di imperdibile, bisognava esserci a tutti i costi e segnare con qualche rito eccezionale il passaggio. Più in piccolo, le ricorrenze delle festività ripropongono lo stesso tema: essere nella festa quando la festa è di tutti, essere nell’insieme, provare un senso di appartenenza. Anche per chi viaggia da solo, farlo nelle feste è farlo quando lo fanno tutti e quindi significa comunque far parte di un grande rito collettivo, che unisce.
I depressi delle feste e i viaggiatori compulsivi delle feste vivono situazioni simmetricamente inverse: i primi non vogliono essere omologati in una gioia collettiva che fa loro sentire il rischio di perdere la propria gioia individuale spontanea, i secondi hanno bisogno di partecipare all’ipotetica gioia collettiva per potere trovare gioia dentro di sé».