Sanihelp.it – La ricerca
Il desiderio di prolungare la propria vita nel figlio, la speranza di un miglioramento della relazione con il partner, la voglia di trasmettere, oltre all’eredità biologica, anche la propria identità culturale, sono fantasie e bisogni che possono essere completamente disattesi nel momento in cui nasce un figlio con disabilità.
Il Servizio di Psicologia della famiglia dell’IRCCS “Eugenio Medea” ha monitorato le diverse reazioni della persona, della coppia e della famiglia alla nascita di un figlio disabile. attraverso questo studio si è cercato di scoprire:
– Quali conseguenze ha sulle relazioni familiari la diagnosi di malattia genetica?
– Esistono differenze nelle relazioni familiari tra le famiglie con figlio disabile rispetto a famiglie con figli sani?
– Come reagiscono i genitori di bimbi con patologia rara rispetto a quelli di bimbi con paralisi cerebrale infantile?
I risultati sono interessanti e dipendono in larga misura dal tipo di disabilità del bambino.
Ci sono differenze notevoli tra le coppie con un figlio con patologia rara (presente quindi fin dalla nascita) rispetto a quelle con bimbi con paralisi cerebrale infantile (patologia intervenuta su bimbi nati sani).
Nei genitori con figlio con paralisi cerebrale infantile predomina una modalità di reazione centrata maggiormente sull’emotività e meno sulla razionalità. Questi genitori sono più “arrabbiati”, come se il “danno” ricevuto avesse un colpevole e fosse evitabile. Spesso, purtroppo, è così: la paralisi cerebrale infantile, infatti, insorge in seguito a complicanze avvenute durante il parto che, il più delle volte, avrebbero potuto essere evitate.
E’ quindi la percezione del sopruso, della prevaricazione della negligenza, ancorché involontari, a scatenare il risentimento.
Diversa è la situazione per le coppie con figlio con malattia rara. Questi genitori, non potendo imputare ad altri la “colpa” di quanto è avvenuto, riescono ad accettare l’evento, a “farsene una ragione”.
Sviluppano addirittura una componente relazionale migliore delle coppie con figli sani. Anche il clima familiare è meno conflittuale nelle famiglie con un figlio con disabilità genetica rispetto alle famiglie con figli sani.
Questo accade perché la diagnosi certa, dopo un’inevitabile periodo di scoramento, mette la coppia in grado di “resettarsi”, di trovare un nuovo equilibrio. L’indeterminatezza invece conferisce un’ulteriore precarietà alla famiglia.
Questo dato ha delle implicazioni di notevole importanza pratica: attesta l’urgenza di una rete di centri specialistici che faccia fronte alla richiesta di diagnosi certe e che aiuti la famiglia nel difficile percorso di cura. Un figlio disabile quindi non deve significare una famiglia disabile: è irresponsabile lasciare i genitori soli nel difficile compito che li aspetta.
Come comunicare la diagnosi?
Non solo la diagnosi di malattia rara, ma un qualsiasi tipo di diagnosi che evidenzi a carico di un figlio una patologia cronica, è per i genitori e per tutta la famiglia un’esperienza carica di dolore.
È molto importante saper comunicare nel modo giusto la diagnosi
, scegliere i giusti approcci e tempi. È una questione molto delicata perché è un ambito in cui entrano in gioco diversi aspetti inerenti al “cosa dire”, “quando”, “come”, “a chi” e, infine, “da parte di chi”.
Per i genitori avere una diagnosi significa
farsi una ragione
del perché il proprio figlio presenti una determinata patologia, in molti casi significa
poter prevedere
come la malattia evolverà, significa
riuscire a stabi
lire quali sono i percorsi d’aiuto più funzionali e anche
poter identificare
con maggiore precisione limiti e risorse del proprio figlio.
“Ma tutto questo non basta – afferma la Dott.ssa Eleonora Maino, responsabile del progetto di ricerca – comunicare una diagnosi, soprattutto se è effettuata precocemente, al momento della nascita, implica non solo fornire nel modo più chiaro possibile dei concetti sulla patologia, ma significa anche prestare attenzione al fatto che
i genitori sono alle prese con un momento della vita intensamente drammatico
”.
“In questo senso – continua la dottoressa Maino – la comunicazione della diagnosi deve essere pensata come processo che coinvolga più figure professionali che sappiano da un lato fornire informazioni mediche chiare e specifiche e dall’altro garantire un accompagnamento e un sostegno ai genitori”.
Quindi un processo su più livelli in grado di accompagnare sotto i più svariati punti di vista la famiglia intera.
“Occorre inoltre sottolineare l’importanza del comunicare la diagnosi ad entrambi i genitori congiuntamente – spiega la dottoressa Maino – modalità non sempre usuale nella prassi medica. Comunicare la diagnosi ad uno solo dei genitori significa infatti, da un lato lasciarlo solo in preda al suo dolore, dall’altro lasciargli l’onere di dover comunicare la notizia drammatica all’altro. Allo stesso modo, seppur in seconda battuta, vanno messi a conoscenza della situazione anche gli eventuali fratelli sani del bambino disabile, trovando un modo adeguato all’età, alle capacità e al ruolo da loro rivestito”.
L’adattamento al figlio disabile: i genitori protagonisti del progetto riabilitativo.
Dal momento in cui si viene a conoscenza del problema inizia un percorso ricco di difficoltà che se ben guidato porta alla consapevolezza della possibilità di vivere nella normalità insieme al proprio figlio. Cerchiamo di capire come si sviluppa il percorso e quale supporto è necessario.
Si possono ipotizzare tre diverse fasi del processo di adattamento al figlio disabile.
Nella
prima fase
, che coincide con il disorientamento e lo shock per la nascita del bambino con malattia genetica, occorre aiutare i genitori a sostenersi reciprocamente e a condividere il loro dolore, dando ad esso un tempo e uno spazio in cui poter essere elaborato.
In una
seconda fase
, che coincide con il superamento dello shock iniziale e, talora, con la comparsa di forti sentimenti di negazione della realtà, occorre aiutare i genitori a costruirsi un’immagine il più possibile realistica del proprio bambino, delle sue risorse e dei suoi limiti.
In una
terza fase
occorre guidare i genitori nella costruzione del progetto riabilitativo del bambino, in cui essi devono sentirsi protagonisti.
“La disabilità del bambino, pur essendo un «vincolo», non necessariamente deve rappresentare anche un limite per l’evoluzione positiva della famiglia”, commenta la Dott.ssa Eleonora Maino, responsabile del progetto di ricerca.
La famiglia, secondo la dottoressa Maino, deve diventare il punto di partenza per impostare tutti gli interventi specifici e specialistici. Questo sarà possibile solo attraverso un aiuto precoce che permetta ai diversi membri familiari di attivare le proprie risorse al fine di riorganizzarsi e adattarsi alla nuova realtà.
“La famiglia è l’ambito principale dove avvengono i processi di sviluppo dell’individuo – aggiunge il Dottor Massimo Molteni, Neurospichiatra (Infantile, Responsabile del settore di ricerca di psicopatologia dell’età evolutiva dell’Istituto Scientifico Eugenio Medea) – Il nostro scopo è quello di mettere a punto strumenti di valutazione che consentano di descrivere i fattori che determinano le dinamiche familiari, così da individuare elementi di forza su cui definire percorsi di intervento. A questo proposito vorrei sottolineare che nel nostro Istituto la ricerca non è mai fine a se stessa, ma è sempre applicata alla clinica: nello specifico del mio settore, la psicopatologia dello sviluppo, le ricerche hanno lo scopo primario di fornire una “mappa” che consenta di migliorare sempre i tipi di intervento che servono per il bambino e la sua famiglia”.
E’ ormai ultimato e sperimentato su un vasto campione un modello di valutazione delle famiglie che consente di offrire un percorso di aiuto, se necessario, secondo modalità ben precise e individualizzato nelle varie tappe del ciclo di vita della famiglia.
Quando la famiglia funziona à¢àÂঠl’esperienza di genitori con un figlio disabile.
Stefano e Loretta raccontano la loro vita di genitori con un figlio disabile
Stefano e Loretta hanno due bambini, Alessandro di undici anni e Alberto, che ha otto anni ed è affetto da una malattia rara, la Sindrome di Costello).
La malattia è stata diagnosticata quando è nato, anche se già dalle ecografie risultavano dei problemi.
L’incipit di questa storia si presterebbe ad uno dei tanti programmi tv del dolore. Famiglia serena, sconvolta dalla nascita di un figlio disabile, disperata per il futuro…
E invece non è andata così.
Stefano
: Facciamo parte di un’associazione di familiari, sono anche andato ad un convegno negli Stati Uniti, a Birmingham in Alabama, c’erano australiani, diversi americani, di europei c’ero solo io. Alcuni genitori hanno portato anche i ragazzi. I tratti somatici sono inconfondibili, ma Alberto ha sviluppato la sindrome in forma più leggera. Le caratteristiche sono sublussazione del gomito, per cui tengono le manine storte, statura bassa, problemi di cuore, lieve ritardo mentale, alcuni casi hanno sviluppato tumori all’intestino o allo stomaco.
Avete dovuto girare molto per avere risposte sicure?
Stefano
: Assolutamente no. Tutti criticano la sanità italiana, ma noi dobbiamo solo ringraziare, dall’Ospedale Valduce di Como, alla Mangiagalli di Milano, alla Nostra Famiglia di Bosisio Parini. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare sempre le persone giuste. E anche dal punto di vista economico non abbiamo dovuto fare sacrifici. Tranne i ticket normali, tutto da sanità pubblica.
Loretta
: conta molto la zona in cui abiti. Fortunatamente noi siamo vicini a Bosisio, per cui portare Alberto a La Nostra Famiglia non mi costa nulla. Ci sono genitori che vengono qui da lontano perché dove abitano loro non c’è nulla e sfruttano le loro ferie per venire a Bosisio.
Alberto ha fatto recuperi impressionanti. E’ andato all’asilo a tre anni che aveva appena cominciato a camminare. Parlava male. E’ stato seguito da subito da La Nostra Famiglia e da allora il recupero è stato enorme. Ha imparato a leggere, corre, gioca…è come tutti i bambini.
Le vostre reazioni sono state diverse?
Loretta
: no, eravamo già pronti, i dottori ci avevano già preparato. Quando è nato Alberto e abbiamo saputo quel che aveva l’impatto c’è stato, ma ci siamo ripresi in fretta.
Stefano
: quando è nato, Alberto era in condizioni critiche, era sempre sotto controllo, aveva problemi cardiaci, aveva le pareti del cuore molto spesse che tendevano ad ispessirsi sempre di più. Aveva una cardiomiopatia decisamente grave. Il mio primo pensiero era per la sua salute fisica. Ora la situazione è sotto controllo.
Come avete metabolizzato questo evento?
Loretta
: Sono cose che succedono, affrontiamo la cosa come viene. Problemi ne abbiamo tantissimi, ma chi non ne ha? Ci sono comunque bambini “normali” con problemi più grandi di quelli di Alberto.
Come sono i rapporti tra i due fratelli?
Loretta
: direi normali, litigano e giocano come tutti i fratelli. Alessandro ha insegnato ad Alberto tantissime cose, ha molta pazienza. E’ un bambino molto paziente, anche le maestre ce lo dicono, è un compagnone, forse un po’ timido, ma ha un bel carattere.
Cosa vi ha aiutato maggiormente?
Loretta
: senz’altro l’unione della coppia, tante cose non ce le siamo neanche mai dette apertamente, abbiamo agito in modo naturale e spontaneo. Sicuramente i primi tempi sono stati duri, la situazione era critica, a un anno Alberto è tornato in incubatrice. Da allora affrontiamo la situazione man mano. Alberto è molto sveglio, è simpatico, ha senso dell’orientamento, uno sbocco lo troverà senz’altro.
Le persone intorno a voi vi hanno aiutato?
Loretta
: Sì, moltissimo, dall’asilo alle altre famiglie: il nostro è un paese piccolo, Alberto è allegro e socievole, per cui gli è stato facile farsi benvolere, conosce mezzo paese. Una caratteristica di questa sindrome è la simpatia, anche gli altri genitori me l’hanno confermato.
Stefano
: La nostra è un’esperienza tra tante, ma è stata decisamente positiva. E’ vero che ci siamo dati tanto da fare. Molte persone si aspettano sempre che arrivi tutto dagli altri, ma uno deve anche muoversi un po’, noi abbiamo stimolato anche i dottori, portavamo loro la documentazione che trovavamo in internet. All’inizio è stata dura, dovevamo alimentarlo con i sondini: inserivamo dal naso una cannula che arrivava nello stomaco e gli davamo il latte con una siringa: questo cinque o sei volte al giorno. I medici ci hanno spiegato come fare, ma ovviamente non potevano seguirci 365 giorni all’anno.
Consigli ad altri genitori?
Loretta
: Non chiudersi nel proprio guscio, vale la pena chiedere aiuto alle altre famiglie nella stessa situazione perché ne vale la pena, dai figli si ricevono delle soddisfazioni che ti ripagano a mille. Il problema c’è e allora devi avere la consapevolezza che in parte lo devi risolvere tu, non puoi aspettarti tutto dagli altri ed essere passivo. I risultati non ci sono da un giorno all’altro, bisogna avere pazienza e continuare il lavoro a casa: non basta quell’ora di logoterapia per risolvere tutto. Anche con Alessandro però ho sempre fatto così, per me l’educazione è importantissima: ho stimolato la sua passione per il disegno, l’ho portato ai musei.
Stefano
: Non disperarsi, bisogna rompere le scatole, perché quello che si riceve è impagabile. Il punto è questo: avere consapevolezza che gli aiuti se si cercano si trovano, basta solo stimolarli.
Loretta
: è un discorso generale: davanti a scuola le mamme si lamentano “le maestre non fanno più questo, non fanno più quello”.. Non puoi delegare tutto alla scuola. I figli li fai tu, quindi sei tu che devi darti da fare.
Stefano
: Chiaro che costa fatica seguire i propri figli. Se arrivi a casa e li piazzi davanti alla tele o alla play station sei a posto per due o tre ore. Se invece li fai giocare magari ti stanchi di più, però la qualità è migliore.
Loretta
: vedo nonni che stanno i mesi al mare con i nipotini. Noi, quando andiamo, lo facciamo con i nostri figli. E sono i momenti più belli per tutti.
Stefano e Loretta sono seguiti dal Servizio di Psicologia della Famiglia dell’IRCCS “Eugenio Medea” con un programma strutturato d’intervento centrato sulla relazione di coppia.
Note:
La sindrome di Costello è una malattia multisistemica estremamente rara, ad eziologia attualmente sconosciuta, i cui elementi caratteristici sono rappresentati dal ritardo dell’accrescimento, ritardo mentale di grado moderato, facies tipica, cute ridondante a livello di collo, mani e piedi, capelli grossolani, macrocefalia moderata, papillomi periorali e prenasali, alterazioni scheletriche ed iperlassità articolare. In alcuni dei casi di sindrome di Costello riportati in letteratura è stato descritto un coinvolgimento cardiaco, sotto forma di cardiomiopatia ipertrofica, talora ostruttiva, difetti settali (interventricolare o interatriale), stenosi polmonare, displasie valvolari, turbe del ritmo o soffio cardiaco isolato.
L’associazione “La nostra famiglia”
Nata nel 1948, l’associazione “la nostra famiglia è un ente ecclesiastico presente in otto regioni italiane e in 5 Paesi del mondo.
Ha superato confini geografici e scientifici ponendosi, nel campo della riabilitazione e della ricerca per la disabilità in età evolutiva, tra le più grandi e qualificate strutture in Europa (35 sedi in Italia e all’estero – 2.000 operatori – 870.000 prestazioni riabilitative l’anno).
L’Associazione si propone di dare il proprio contributo allo sviluppo della ricerca e delle conoscenze scientifiche nel campo della patologia dello sviluppo.
Sito internet: www.lanostrafamiglia.it
Elenco sedi:
Lombardia
Bosisio Parini (LC)
Via don Luigi Monza, 20 – CAP 23842 – tel. 031 877 111 – fax 031 877 499 –
e mail: medea@bp.lnf.it
Carate Brianza (MI)
Via E. Riva, 6 – CAP 20048 – tel 0362 904 035 – fax 0362 803 478 –
e mail: lnfcarate@libero.it
Castiglione Olona (VA)
Via Monte Cimone, 23 – CAP 21043 – tel 0331 858 288 – fax 0331 857 289 –
e mail: rotary01@mercury.tread.it
Cislago (VA)
Via Cavour, 108 – CAP 21040 – tel. 02 963 82491 –
e mail: cislagolnf@virgilio.it
Como
Via del Doss, 1 – CAP 22100 – tel. 031 525 755 – fax 031 525 981 –
e mail: pcazzaniga.lnf@tiscalinet.it
Como
Via Zezio, 8 – CAP 22100 – tel. 031 305 000 – fax 031 305 000 –
e mail: lnfcomo@tin.it
Endine Gaiano (BG)
Via Repubblica, 14 – CAP 24060 – tel 035 825 205 – fax 035 827 340
Lecco
C.so Matteotti, 124 – CAP 23900 – tel. 0341 495 564 – fax 0341 258858 –
e mail: nflecco@virgilio.it
Mandello del Lario (LC)
Via Nazario Sauro, 5 – CAP 23826 – tel. 0341 733 630 – fax 0341 731 998 –
e mail: lnf.mandello@virgilio.it
Ponte Lambro (CO)
Via don Luigi Monza, 1 – CAP 22037 – tel 031 625 111 – fax 031 625 275 –
e mail: dirgen@pl.lnf.it
Sesto San Giovanni (MI)
Viale Rimembranze, 12 – CAP 20099 – tel – fax 02 2428 594 –
e mail: lnf.sesto@tiscali.it
Vedano Olona (VA)
Via don Luigi Monza, 10 – CAP 21040 – tel. 0332 866 080 – fax 0332 400 208 –
e mail: lnfvedano@tin.it
Liguria
Varazze (SV)
Strada Romana, 53 – CAP 17019 – tel. e fax 019 97274 –
e mail: lnf.var@tin.it
Veneto
Caorle
Via Selva Rosata, 77 – CAP 30021 – tel. 0421 299142 – fax 0421 299168
Conegliano (TV)
Via Costa Alta, 37 – CAP 31015 – tel. 0438 4141 – fax 0438 410101 –
e mail: direzione@cn.lnf.it
Mareno di Piave (TV)
Via Ungaresca Nord 167/a – CAP 31010 – tel 0438 30529 – fax 0438 30529
Oderzo (TV)
Via don Luigi Monza, 1 – CAP 31046 – tel 0422 712349 – fax 0422 712340
e mail: oderzo@cn.lnf.it
Oderzo (TV)
Via don Luigi Monza, 3 – CAP 31046 – tel 0422 710261
Padova
Via Carducci, 25 – CAP 35100 – tel. 049 880 5288 – fax 049 880 3732 –
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Pieve di Soligo (TV)
Via Monte Grappa, 96 – CAP 31053 – tel 0438 833 00 – fax 0438 980 444 –
e mail: pieve@cn.lnf.it
San Donà di Piave (VE)
Via Forlanini 5 – CAP 30027 – tel 0421 550 60 – fax 0421 550 60 –
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Treviso
Via Ellero, 17 – CAP 31100 – tel. 0422 420 752 – fax 0422 306 647 –
e mail: treviso@cn.lnf.it
Vicenza
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e mail: vicenza@cn.lnf.it
Friuli Venezia Giulia
Pasian di Prato (UD)
Via Cialdini, 29 – CAP 33037 – tel. 0432 693111 fax 0432 693106 –
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S.Vito al Tagliamento (PN)
Via della Bontà, 7 – CAP 33078 – tel. 0434 842 711- fax 0434 842 797 –
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Puglia
Brindisi
C.da Lo Spada – CAP 72100 – tel. 0831 516 683 – fax 0831 516 683 –
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Lecce
Via per Arnesano, 18 – CAP 73100 – tel. 0832 325 381 – fax 0832 325 382 –
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Ostuni (BR)
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Campania
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