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Vivere senza vedere: si può?

Sanihelp.it – Un salto nel buio durato un’ora e un quarto: così definirei la mia esperienza all’Istituto dei Ciechi di Milano, un’esperienza a dir poco sconvolgente, che prende il nome di Dialogo nel Buio. Il pubblico è invitato a percorrere un viaggio attraverso i diversi contesti della vita quotidiana: la casa, la natura, la strada, la vacanza al mare, il ritrovo al bar, la piazza del mercato… Tutti ambienti avvolti nella più totale oscurità, da attraversare con l’aiuto di un bastone e guidati dalla voce di una guida non vedente.


Quando arriviamo ci fanno accomodare in un corridoio in penombra dove ci viene fornita qualche istruzione preliminare: innanzitutto, ci rassicurano sul fatto che l’ansia che spesso sopraggiunge per l’impatto con la totale oscurità è del tutto normale e tende ad alleviarsi non appena gli occhi si abituano alla nuova situazione. Le ultime parole famose: non appena svoltiamo l’angolo e ogni fonte di luce viene meno, il panico si impadronisce di me per l’assoluta mancanza di punti di riferimento e ci metto qualche minuto per riprendermi e aver il coraggio di staccarmi dalla parete.

La nostra guida si chiama Maria Luisa, ha una voce squillante e gioiosa, ci mette subito a nostro agio con divertenti illazioni sulla nostra angoscia… Ma l’intento è raggiunto: il ghiaccio è rotto e dialogando con Maria Luisa troviamo la forza di perlustrare l’area nella quale ci troviamo (è una stanza grande, lo capisco dalla lontananza delle voci), camminando a piccoli passi e facendoci guidare dal bastone e dalla mano libera, costantemente tesa davanti a noi.
Urtiamo uno contro l’altro, qualche risata per smorzare la tensione e poi… si cambia stanza. Sotto i piedi la sensazione di erba umida e soffice, un profumo di agrifoglio ci avvolge, un cinguettio di uccelli si confonde con il rumore di acqua che scorre.
Il significato polisensoriale di questo viaggio ha raggiunto il culmine, soprattutto quando, sempre grazie alle indicazioni della nostra guida, raggiungiamo a tastoni la fontanella e tocchiamo l’acqua gelida.

Maria Luisa ci informa che c’è un ponte, che dobbiamo trovare da soli. Non so come, ma seguendo le voci degli altri salgo anch’io su uno ponticello di legno (si capisce dallo scalpiccio delle scarpe). Mi faccio prendere dal panico al pensiero che sotto ci sia davvero l’acqua… ma passiamo oltre.

La proposta della guida di «fare un giretto in barca» ci coglie impreparati, soprattutto quando si offre di guidare lei l’imbarcazione… Sta scherzando? Ma quella che a noi appare come una mission impossible per Maria Luisa sembra essere un gioco da ragazzi: la sentiamo salire sulla barca senza difficoltà, ci aiuta a nostra volta a prendere posto sulle panchine, ci fa sentire la presenza di giubbini e salvagenti, accende con abilità il motore e… si parte! La barca ondeggia, il vento ci accarezza e Maria Luisa ci invita ad ammirare il paesaggio…
È incredibile ma è proprio così: Maria Luisa usa più volte durante il percorso il verbo vedere. Ciò che noi sentiamo, tocchiamo, cerchiamo nel nero totale dell’assenza di luce, per lei è sempre vedere: «Venite e vedere!», «Avete visto qui?», «Adesso guardiamo»…

Siamo arrivati alla casa al mare di Maria Luisa: due poltrone, un tavolo, alcuni giocattoli, quadri con immagini in rilievo… Ognuna di queste scoperte richiede per noi diversi minuti.

La prossima avventura è forse, agli occhi dei vedenti, la più pericolosa per i ciechi: la vita in strada. Clacson, voci confuse, lavori in corso, il fischio del semaforo: come si può vivere in una tale giungla di pericoli senza vederli? Ma la nostra guida è serena, dice che vive da sola e va all’università prendendo i mezzi pubblici, accompagnata dal suo labrador color cioccolato, Raul, che ora guaisce nell’altra stanza perché lei sta lavorando.


Arriviamo al mercato: riconoscere la frutta e la verdura toccandola e sentendone il profumo è un vero spasso.

E infine, tutti al bar per una bibita rinfrescante: al bancone c’è Ciro, una voce maschile che ci chiede cosa desideriamo. Prendiamo da bere (sempre al buio) e paghiamo, poi con Maria Luisa ci sediamo e parliamo un po’. La nostra pausa è interrotta dall’arrivo di Silvia, neo-campionessa non vedente delle Paraolimpiadi di sci. Si leva un applauso, sento che molti la abbracciano facendole i complimenti per la sua meritata vittoria.

«Allora, si può vedere anche al buio? »: ci chiede la nostra simpatica guida. Difficile rispondere, come è difficile descrivere le sensazioni incredibili che un’ora e un quarto al buio esercitano su una persona vedente. Svolgere le mansioni quotidiane, comunicare con gli altri, addirittura sciare e vincere un campionato internazionale: a noi è sembrato tutto di una difficoltà insormontabile, ma la serenità e la destrezza di movimento di Maria Luisa ci insegna a non avere paura del buio, ad affidarci agli altri sensi, spesso mortificati nella vita quotidiana ma così forti e importanti per vivere.
Ma soprattutto ci insegna ad avere fiducia negli altri: in questo viaggio Maria Luisa ci vedeva, è stata lei a guidarci nel suo mondo che poi è uguale al nostro, anche se le percezioni sono diverse, è stata lei a prenderci la mano nei momenti di sconforto e a rassicurarci che si può vivere benissimo anche da ciechi.

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