Sanihelp.it – I mari del pianeta ospitano ben 225 specie di pesci più o meno velenosi, i più famosi dei quali appartengono alla famiglia degli scorpenidi, delle razze, alcuni pesci-gatto e i pesci chirurgo. La pericolosità di questi animali marini si deve all'inoculazione o al contatto con veleni o sostanze urticanti dagli effetti più o meno gravi, ma tutti assai dolorosi.
Le eccezionali doti di mimetismo di questi pesci, che possono nascondersi nella sabbia e tra i coralli in acque anche molto basse, rendono conto, insieme a una eccessiva confidenza dei bagnanti, dell'elevato numero di avvelenamenti registrati ogni anno. Le zone più a rischio sono le acque calde della regione indo-pacifica, India, Sud Africa, Australia, Filippine, Cina, Giappone, ma anche Mar Rosso e Caraibi.
La tossicità del veleno di questa famiglia di pesci aumenta passando dal pesce leone al pesce scorpione per diventare massima, e talvolta mortale, nel caso del pesce pietra.
Il più comune rappresentante degli scorpenidi nei nostri mari è lo scorfano. Nel caso delle razze è possibile una grave lesione, specialmente nei bambini, anche a livello del torace o dell'addome.
Nelle nostre acque, per fortuna, gli avvelenatori temibili sono pochi.
Ci si può imbattere in una Pastinaca (Dasyatis Pastinaca), che ha un robusto aculeo velenoso capace di provocare ferite dolorose.
La puntura più frequente, nei litorali a fondo sabbioso, è quella del pesce ragno che dà un dolore locale violentissimo. In caso di puntura si deve far uscire al più presto il veleno iniettato, spremendo la zona della puntura, disinfettare e applicare sulla parte una pomata antistaminica.
La puntura da parte di questi pesci è un' esperienza che non si dimentica facilmente, perché il dolore è lancinante, specie se l'esemplare calpestato è la tracina drago (Trachinus drago) o la tracina vipera (Trachinus vipera). Di solito però l'infortunato guarisce entro una decina di giorni.
Il primo e immediato campanello d'allarme è rappresentato da un dolore fortissimo, che cresce progressivamente d’intensità raggiungendo un picco in circa 90 minuti.
A quel punto l'intero arto può apparire gonfio, arrossato, caldo e cosparso di vescicole. La ferita e la zona vicino a essa assumono inizialmente una colorazione bruna, con aloni rossastri.
Le linfoghiandole (inguinali se è colpita una gamba o ascellari se la puntura interessa un braccio) tendono a infossarsi e a fare male e compaiono febbre e mal di testa.
Nei casi più gravi sono possibili sintomi a livello del cuore, come tachicardia fino alla fibrillazione ventricolare e riduzione della pressione del sangue, manifestazioni gastrointestinali, come nausea, vomito, diarrea e crampi addominali, difficoltà respiratorie, manifestazioni neurologiche come un'alterazione nella sensibilità, debolezza muscolare e raramente paralisi. In qualche caso si è verificata la morte. In questi casi il primo intervento è la pulizia della ferita, rimuovendo con una pinzetta e con estrema cautela le eventuali spine rimaste infisse.
In caso di puntura da pesce velenoso:
- immergi la parte ferita in acqua alla temperatura più elevata che riesci a sopportare (normalmente al di sotto dei 45° C) per un periodo compreso tra 30 e 90 minuti
- effettua possibilmente una profilassi antitetanica e antibiotica.
Per le punture da pesce pietra, in cui compaiono riduzione della pressione del sangue e dolori lancinanti, sono disponibili, ma solo in centri specializzati, degli antidoti specifici.