Sanihelp.it – Chi l’ha detto che il cosiddetto orologio biologico è una questione prettamente femminile? Il numero di novembre della prestigiosa rivista scientifica Jama, Journal of the American Medical Association, ha dedicato ampio spazio al problema dello scorrere del tempo e della fertilità legati all’altra metà del cielo, quella maschile.
Il declino della fertilità e il rischio di aborti spontanei legati all’abbassamento dei livelli ormonali, fino a oggi attribuiti prevalentemente alle donne, secondo le evidenze riportate dalla rivista andrebbero attribuiti in ugual modo anche agli uomini.
La riduzione della concentrazione di testosterone nel sangue, che dai trent’anni diminuisce dell’un per cento all’anno, sarebbe infatti responsabile quanto quella di estrogeno e progesterone femminile del raddoppio della probabilità di non essere fertili.
L’azione dell’orologio biologico maschile, identificata erroneamente come andropausa pur essendo un fenomeno molto più lento e graduale della menopausa femminile, sembra essere inoltre correlata con disturbi del feto quali l’autismo, la schizofrenia e la sindrome di Down.
Passati i trent’anni, quindi, le donne non dovrebbero più essere viste come le sole responsabili dell’infertilità. Basti pensare che l’età paterna avanzata, tradizionalmente considerata meno rilevante rispetto a quella materna, influenza negativamente la qualità genetica dello sperma, la motilità degli spermatozoi e le disfunzioni erettili.
Non è un caso se, nel solo 2005, negli Stati Uniti sono stati prescritti 2,3 milioni di farmaci contenenti testosterone, come testimoniano i dati forniti da un rapporto dell’IMS Health Inc.