Sanihelp.it – Al parto in acqua vengono associate quasi sempre idee positive: leggerezza, riduzione del dolore, sensazione di rilassamento, e sempre più donne scelgono la vasca per affrontare il travaglio e/o il parto. Tuttavia occorre che le aspettative dei genitori siano realistiche e che il parto in acqua non diventi un nuovo dogma.
Innanzitutto è bene chiarire che l’uso della vasca non offre la completa eliminazione del dolore, come avviene invece con un’anestesia epidurale, e che non sempre stimola le contrazioni con la stessa efficacia di una fleboclisi di ossitocina. Esistono circostanze per cui l’uso di tali pratiche ostetriche è inevitabilmente necessario.
La vasca d’acqua è estremamente utile quando la donna e chi l’assiste sanno come sfruttare al meglio la gravità. Le contrazioni a volte possono rallentare e diventare meno efficaci quando la donna entra nella vasca. Se ciò accade è meglio uscire dalla vasca e sfruttare al massimo la forza di gravità. Talvolta è necessaria la massima pressione della testa del bambino sulla cervice in dilatazione e stare in acqua non è di aiuto. Durante il periodo espulsivo, l’acqua può essere in qualche modo d’ostacolo, allora diventa più pratica la posizione accovacciata sostenuta, all’asciutto.
Inoltre, esistono delle precise controindicazioni all’uso della vasca, per ogni fase del travaglio:
1. Controindicazioni per la prima fase (periodo dilatante): necessità di un costante monitoraggio fetale del battito cardiaco, perché esistono segni evidenti di ipossia o c’è meconio nel liquido amniotico o elevata probabilità di sofferenza fetale; emorragia ante partum; gestosi con elevata pressione arteriosa e possibilità di eclampsia.
2. Controindicazioni per la seconda fase (periodo espulsivo): gravidanza gemellare; presentazione podalica; parto molto prematuro; necessità di ricorrere alla respirazione artificiale o all’attrezzatura di terapia intensiva subito dopo la nascita; sofferenza fetale durante il parto, quindi è possibile che il bambino debba essere rianimato subito dopo la nascita; eccessiva durata della seconda fase.
3. Controindicazioni per la terza fase (secondamento): ritardo di espulsione della placenta; perdite eccessive di sangue dalla vagina o rischio concreto di un’emorragia post partum; casi in cui il bambino deve essere rianimato o ricevere ossigeno; casi in cui la madre si sente mancare.