Sanihelp.it – Ci risiamo. Tutti gli anni è la stessa storia: la televisione ci bombarda di immagini di nuovi prodotti scolastici e le vetrine delle cartolerie mettono in bella vista zainetti all’ultimo grido con tutti gli accessori coordinati.
Risultato: il bambino strepita per possedere a tutti i costi lo zaino appena uscito, quello che solo gli “sfigati” non hanno.
Per le mamme il dilemma è: risparmiare e resistere alle urla e ai capricci del bimbo, o lasciarsi vincere dallo sfinimento e accontentarlo pur di tappargli la bocca?
In realtà le mode sono troppo sfuggenti e mutevoli, e stare al passo con gli ultimi trend è davvero impossibile.
Inoltre, cambiare corredo scolastico ogni anno è una spesa davvero ingente: per i bambini delle elementari la cifra viaggia intorno ai 1000 euro, per le medie si arriva a 1300 mentre per i liceali si raggiungono i 1500.
La colpa, in parte, è dei mass media: cartelloni stradali giganti, immagini di riviste, martellanti spot pubblicitari sono sempre pronti a ricordarci quanto questo o quel prodotto sia appetibile, seducente, e soprattutto, assolutamente indispensabile per non essere considerato out.
Il meccanismo psicologico è semplice: insinuare in noi il desiderio di quegli oggetti. Un desiderio effimero, che di lì a poco si inscriverà in nuovi oggetti altrettanto necessari.
Si crea così un circolo vizioso: l’oggetto firmato, ideato per distinguere, finisce per esprimere un’omologazione. In pochi mesi il dernier cri sprofonda nel consueto.
Il punto è che passato di moda non è sinonimo di usurato: uno zaino dell’anno scorso non è necessariamente fuori uso. E forse per un altro anno può durare.
E non è tutto: oggi le marche non dicono più solo il nome delle aziende, ma sono portavoci di un sistema di valori che i ragazzini sentono di dover fare proprio.
Ecco perché questi ultimi sono attratti più dalla firma e dal logo che dall’oggetto stesso; l’importante, per loro, non è che lo zaino sia nuovo, ma che sia firmato.
Questa mania della griffe è dettata dalla filosofia dell’apparire: non si acquista per il reale bisogno dell’oggetto, ma solo perché «quest’anno in classe ce l’hanno tutti».
E il rischio di essere emarginato perché non si possiede niente di costoso e firmato può avere danni sull’autostima del bimbo.
Per far fronte a questi pericoli, il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria afferma che la pubblicità non deve suggerire che il mancato possesso del prodotto pubblicizzato significhi inferiorità, mentre l’ARCO (Associazione Nazionale Difesa Consumatori) definisce la griffe un fenomeno antieducativo, che mortifica chi non può permetterselo, e che non comunica ai bambini il reale uso di un prodotto ma solo la sua immagine.
Il punto quindi non è cedere o non cedere ai ricatti dei figli, quanto piuttosto educarli, cioè ridimensionare la loro voglia di novità, accontentandoli in alcune richieste economicamente accessibili e trasmettendo loro uno stile di vita parsimonioso.
L’ideale è trovare un compromesso con il bimbo tra ciò che può essere concesso e ciò che invece va proibito.
Se decidiamo per esempio di riciclare lo zaino dell’anno precedente, concediamogli un altro piccolo acquisto che soddisfi il suo desiderio di novità, come l’astuccio o il diario, facendogli capire che la moda non deve essere un’ossessione, né tantomeno un veicolo di accettazione.
È molto più costruttivo farsi notare per quello che si è, e non per quello che si indossa o che si possiede.