Sanihelp.it – Non stanno mai fermi, non riescono a mantenere l’attenzione, non controllano la loro irruenza nei discorsi, nelle azioni, nel gioco: sono i bambini colpiti dal Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), una malattia di recente definizione che attualmente colpisce circa 400.000 bambini in Italia e quasi 5 milioni in America. La sua prevalenza sarebbe stimata tra il 3-5% della popolazione in età scolare, mentre nelle forme particolarmente gravi la stima è dell’1%.
Si tratta di una sindrome tipica dell'età evolutiva: i sintomi compaiono al momento dell'iscrizione all'asilo o nei primi anni di scuola, quando il bambino manifesta una scarsa adattabilità alle regole sociali e un eccesso di disattenzione, iperattività e impulsività, che compromette le sue funzioni quotidiane.
Il disturbo è molto complesso e di non facile soluzione, anche perché le sue cause non sono ancora ben note: si ipotizzano un fattore genetico, un’influenza del fumo in gravidanza, diverse alterazioni del sistema nervoso centrale (volumi inferiori di materia cerebrale, ridotto metabolismo cerebrale di glucosio o alterazione dei meccanismi noradrenergico e dopaminergico), addirittura un’intossicazione di TV e videogame. Mancano però le conferme.
Gli scettici pensano perciò che, non essendoci nessuna prova scientifica della malattia, il problema in realtà non esista e che i sintomi, essendo troppo generalizzati (dalle difficoltà di apprendimento ai disturbi della condotta, dagli atteggiamenti provocatori alle alterazioni dell’umore), siano semplici segnali di vivacità del bambino.
La definizione di una diagnosi efficace è ostacolata anche dalla mutevolezza dei sintomi, che si modificano con la crescita del bambino, e dal loro intreccio con altri disturbi psicologico-relazionali o con difficili situazioni socio-familiari.
Questa situazione di non chiarezza e di mancata attendibilità scientifica ha provocato un vero e proprio polverone attorno a questo disturbo, soprattutto dopo la tragedia di Matthews Smith, quattordicenne sottoposto a terapia farmacologica anti-ADHD morto nel 2000 in seguito a un attacco cardiaco.
Il medico legale determinò che il cuore di Matthew presentava chiari segni di piccoli danni ai vasi sanguigni causati da una sostanza stimolante di tipo anfetaminico, e concluse che la morte era stata causata dall'uso prolungato dello psicofarmaco che gli era stato prescritto.
L’allarme, lanciato da varie associazioni e da esponenti del mondo scolastico, scaturisce dalla rilevazione di alcuni sconcertanti dati:
- quasi 8 milioni di bambini etichettati e drogati nei soli USA
- quasi 200 morti correlate al trattamento anti-ADHD
- 17 milioni di bambini nel mondo sotto trattamento psichiatrico.
Tali contestatori criticano la leggerezza diagnostica della cosiddetta malattia, la generalizzazione che troppo spesso ne viene tratta, ma soprattutto la facile medicalizzazione dei presunti soggetti.
Tale giudizio fa leva anche sul dato relativo al fatturato della Novartis, casa produttrice del farmaco sotto accusa, il Ritalin, che nel 2006 solo negli USA è aumentato del 15%, fino a raggiungere i 2,1 miliardi di dollari; la crescita è stata sostenuta anche dai farmaci Focalin / Ritalin.
Cosa c’è di davvero patologico in questo disturbo? Ed è davvero così diffuso come affermano le statistiche? Come si distingue un bimbo vivace da uno iperattivo? E soprattutto, come si affronta, in famiglia e a scuola, una diagnosi di ADHD?
Per fare un quadro della situazione abbiamo dunque chiesto il parere di alcuni rappresentanti delle voci in causa: insegnanti, medici specialisti, associazioni pro e contro l’ADHD.