Sanihelp.it – Il rapporto Comprehensive sexuality education (CSE) country profiles pubblicato dal Global Education Monitoring dell’UNESCO mette in luce quanto sia importante fornire un insegnamento all’educazione sessuale trasversale e unitario incentrato sugli aspetti cognitivi, emozionali, fisici, relazionali e sociali della sessualità. L’UNESCO sottolinea l’importanza del diritto all’educazione affettiva e sessuale non solo in quanto diritto ma salute, ma anche al fine di realizzare il pieno rispetto dei diritti umani e favorire l’uguaglianza di genere, essendo parte degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU.
«L’educazione sessuale è l’aspetto più visibile ed evidente di quella che mi piace definire educazione alla vita, perché ha a che fare con la maturazione di concetti chiave, quali: chi sono io e chi sono gli altri, come entro in relazione con i miei simili, qual è la mia sfera d’intimità, come posso proteggermi e tutelarmi. Intorno a questo tema ruota un mondo fatto di conoscenza, che ricordiamoci, è lo strumento più potente che abbiamo a disposizione. Se conosco le cose, posso agire correttamente sia nei miei confronti sia in quello degli altri»dice Giovanna Giacomini, pedagogista, formatrice e fondatrice di Scuole Felici®.
«E’ conoscenza di chi siamo e di chi sono gli altri, cosa vogliamo per noi stessi e che cosa vogliamo dagli altri. Questo è il punto di partenza per la nostra crescita personale e relazionale. In questa prospettiva è chiaro che la sessualità diventa quindi un’opportunità per capire chiaramente chi siamo e come vogliamo entrare in una dimensione di relazione con noi stessi e con gli altri» prosegue l’esperta.
«In fondo la sessualità non è il semplice piacere, ma è un qualcosa che ha a che fare profondamente e intimamente con la nostra individualità, con la nostra capacità di rapportarci con il mondo. Occorre sviluppare un percorso alla consapevolezza della sessualità. Parlare di sessualità, affettività e identità senza consapevolezza, riduce il tutto a una lezione didascalica, non rispondente a un reale bisogno di conoscenza» conclude Giacomini
Nella prima infanzia, l’agenzia educativa, dovrebbe focalizzare l’attenzione in particolare sullo sviluppo di una sana identità del bambino. In questa fase il piccolo riconosce se stesso come entità separata, prima dalla madre e poi dagli altri. È qui che nascono i concetti di rispetto e relazione ed è qui che occorre lavorare sul tema »io e gli altri» portando il focus sul riconoscimento delle emozioni.
«La famiglia deve vivere in modo sereno il fatto che, nei primissimi anni di vita, il figlio possa avvicinarsi all’educazione sessuale, senza trasmettergli ansie e timori» spiega la pedagogista. «Il problema del nucleo familiare, in questa fase di vita del bambino, è il non porsi il problema e procrastinare, assumendo un atteggiamento passivo».
«È invece molto importante prepararsi subito al meglio, informandosi e formandosi, mettendosi in gioco e documentandosi. Un aspetto fondamentale che il genitore non deve trascurare è il dialogo, parlare ai bambini utilizzando un linguaggio semplice adatto all’età ma realistico, chiaro e concreto. L’istituzione scuola, parlando della primaria, invece deve entrare nel merito con progetti che dovrebbero essere studiati e proposti a livello nazionale e non solo ad appannaggio di alcuni istituti. La scuola ha il compito di rispondere a un bisogno collettivo, soprattutto in tema di grande informazione perché è la depositaria di conoscenza» commenta Giacomini.
«È quindi importante lavorare con teorie e strumenti aggiornati, mettendo in campo le competenze non solo di esperti tecnici come l’ostetrica, il medico e lo psicologo, ma integrando il team con educatori e psicopedagogisti focalizzati più sulla sfera relazionale» conclude la pedagogista
Stereotipi, pregiudizi e discriminazioni di genere giocano ancora un ruolo troppo importante nell’espressione della sessualità. La sfida che ci troviamo a dover affrontare è di riuscire a sradicarli alla radice.
«I bambini nascono portando con sé un bagaglio d’informazioni, frutto biologico tramandato di generazione in generazione. Hanno quindi un ventaglio di risposte emotive e comportamentali in qualche modo condizionato dal contesto familiare, sociale, economico e culturale di appartenenza. Bambini che ad esempio vivono in zone di periferia, caratterizzate a volte da forme di disagio, possono essere diversi da coloro che vivono in un conteso cittadino» precisa Giacomini. «Così come tradizioni e culture differenti possono essere la causa della nascita di potenziali stereotipi, pregiudizi di genere e di razza legati anche alla sfera sessuale».
«Non dimentichiamo inoltre l’influenza della religione e del territorio di appartenenza. È quindi molto importante intervenire sin da subito e lavorare su questi aspetti, in modo che il bambino non sviluppi preconcetti influenzati dal contesto ambientale e sociale che frequenta» spiega l’esperta.
Come? Attraverso un’educazione che si preoccupi anche di questo, che lo sappia riconoscere e contrastare. L’obiettivo è andare a modificare atteggiamenti e mentalità per superare eventuali stereotipi attraverso l’elaborazione di strumenti educativi e la messa in atto di strategie positive che vadano a sensibilizzare in primis le famiglie. «Agendo solo sul bambino non otterremmo nessun risultato. Gli stereotipi sono alla base della conservazione di divisioni sociali, di separazioni e di tutta una serie di situazioni a rischio. Diventa quindi necessario lavorare sulla realizzazione personale e sullo sviluppo dell’unicità di ogni bambino. Pensiamo ad esempio quando offriamo loro i classici giochi, classificandoli per genere, giochi da maschio e da femmina, così facendo li stiamo già intrappolando in ruoli rigidi, difficili da mettere in discussione. Banalmente, sui canali social, si vedono immagini e video di festeggiamenti dove, amici e parenti scoprono il sesso del futuro nascituro, spesso accompagnati da reazioni di gioia, rabbia, tristezza in base all’esito. Se ancora oggi siamo legati al fatto che sia importante che nasca una femmina o un maschio significa che siamo molto lontani dal risolvere il problema. Il lavoro da fare è lungo e importante»sottolinea Giovanna Giacomini.
Il percorso di educazione sessuo-affettiva porta con sé numerosi dubbi, quesiti e ansie sia da parte degli operatori sia delle famiglie.
«Temi come l’ostentazione del corpo, che si sviluppa quando il bambino inizia a prenderne consapevolezza, volendolo quindi mostrare a chiunque, o la masturbazione infantile erano e sono ancora oggi spesso dei tabù. Il segreto per affrontare al meglio queste tematiche, è utilizzare, sia a scuola sia in famiglia, un linguaggio opportuno. Consiglio ad esempio di evitare l’uso di nomignoli, di cui la lingua italiana è ricca, per indicare le parti del corpo così da non creare confusione nel bambino. Negli altri paesi esiste solo un termine scientifico, non sussiste linguisticamente parlando, nessun motivo per il quale la parola pene debba essere una parola brutta o cacofonica rispetto alla parola ginocchio» precisa l’esperta.
« Ciò che rende un termine strano o inappropriato è dettato dal nostro immaginario di adulti, al bambino non interessa minimamente come si chiama una cosa, inizia a percepire qualcosa di strano solo osservando la reazione che quella parola produce nel grande o in altri bambini che non hanno avuto l’opportunità di entrare in contatto con quello che a me piace definire il linguaggio della sincerità».
«Dalla parte dei genitori invece, una domanda su tutte fa riferimento alla possibilità che i bambini, prima della pubertà, ossia prima di uno sviluppo anche sessuale, possano provare piacere. Sì i bambini, non tutti perché ogni caso è a se stante, possono trarre piacere dallo sfregamento degli organi sessuali. Questa prima forma di masturbazione non deve assolutamente creare panico o preoccupazione. In realtà spesso nasconde semplicemente un momento di noia o frustrazione che il bambino compensa attraverso un’azione che porta con sé il piacere» precisa Giacomini. «È bene però che il bambino non stia in questa dinamica più del dovuto intervenendo dopo pochi minuti, magari distraendolo con un’attività e rispondere così a quello che è il suo bisogno originario ossia ricevere attenzione e cura. Attraverso questo comportamento il bambino sta semplicemente manifestando un altro disagio ed è su quello che dobbiamo lavorare senza bollare come fatto negativo il comportamento adottato».
Un’altra domanda tipica dei genitori si riferisce al momento giusto per iniziare a parlare di sesso. Non c’è, la sessualità fa parte della vita. All’inizio c’è la possibilità di parlare al bambino del proprio corpo, poi di evidenziare le differenze fisiche con i genitori e i fratelli o sorelle e infine degli amichetti. «Uno strumento importante che abbiamo a disposizione sono i libri. Oggi abbiamo la possibilità di spiegare tante cose ai nostri piccoli attraverso gli albi illustrati. Sempre sulla base del linguaggio della sincerità meglio prediligere libri con fotografie reali delle parti del corpo grazie alle quali il bambino inizia la scoperta» precisa la pedagogista.
«Partiamo da lì, dallo scoprire che sono fatto di tante cose, da due mani, due piedi, ma che ho anche un pene o una vagina. Che il mio corpo è prezioso e, in quanto, tale lo devo amare e averne cura. Se riuscissimo a ricondurre il tutto a una dimensione più naturale possibile, allora riusciremo a risolvere il problema prima ancora che si manifesti, facendo una vera e propria prevenzione» conclude l’esperta.