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Di che razza sei? Umana o disumana?

Estate

Sanihelp.it – A partire dal mese di giugno lo Stato ha dato il via a una lunga serie di eventi e conferenze stampa presso le sedi delle varie Provincie italiane. Oltre ad associazioni animaliste, volontari e Polizia, sono stati coinvolti anche i sindaci dei Comuni ai quali è stata fatta richiesta di sensibilizzare i cittadini dei propri territori.


Durante l’incontro del 18 giugno a Verona, presso Palazzo Scaligero, l’Onorevole Francesca Martini ha presentato un quadro chiaro ed esaustivo del problema, ricordando che l’abbandono di un animale non è solo un gesto disumano, ma si tratta di un vero e proprio reato perseguibile legalmente.

«Abbiamo avvertito l’esigenza di lanciare questa campagna perché è proprio in questo periodo estivo che l’incivile fenomeno dell’abbandono tocca punte drammatiche.» ha dichiarato l'Onorevole «L’animale d’affezione viene purtroppo ancora considerato da una parte della popolazione un oggetto di cui disporre a proprio piacimento, che diventa scomodo quando ci si appresta ad intraprendere un viaggio o quando inizia a dare problemi di gestione. Per questo intendiamo promuovere con forza ogni azione necessaria a far crescere culturalmente i nostri cittadini e guidare gli stessi verso il «possesso consapevole dell’animale da compagnia», soprattutto stimolando la conoscenza e il rispetto degli animali nelle giovani generazioni che rappresentano la speranza per una futura società basata sul rispetto e sul riconoscimento dei diritti di tutti gli esseri senzienti.

Voglio sottolineare che l’abbandono di un animale non è solo un’azione deprecabile dal punto di vista etico ma è un reato sancito dal nostro ordinamento giuridico. La legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo 281/91 ha affermato infatti il principio fondamentale in base al quale lo Stato «promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente». Con questa legge l’Italia, primo Paese al mondo, ha vietato la soppressione degli animali randagi, ad eccezione di limitati casi, con metodi eutanasici e ad opera di un medico veterinario. È stato così sancito il diritto alla vita degli animali d’affezione riconoscendone implicitamente la natura di «esseri senzienti». Inoltre con l’emanazione della legge 189/2004 l’abbandono di animali è divenuto un illecito penale, infatti l’art. 727 del c.p., come modificato dalla suddetta legge, punisce con la pena detentiva dell’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 Euro «chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività». Nonostante l’esistenza di norme che puniscono severamente chi commette il reato di abbandono, ogni anno purtroppo continuiamo a registrare questo deprecabile fenomeno.

Dagli ultimi dati forniti dalle Regioni e Province autonome riferiti al 2007, infatti, il numero presunto di cani randagi sul territorio nazionale è di circa 450.000, si tratta ovviamente di un dato approssimativo e probabilmente sottostimato, e i cani che sono transitati nei canili sanitari secondo i dati delle Regioni e Province autonome nel 2009 sono stati 105.969.
Voglio ricordare che l’abbandono è un reato che non produce solo sofferenza nell’animale ma causa anche conseguenze di natura igienico-sanitaria e sociale. Basti pensare a riguardo ai numerosi incidenti stradali causati da animali abbandonati o randagi e alle patologie che possono essere veicolate da questi all’uomo. Ma anche alle aggressioni che i cani inselvatichiti, spesso affamati e radunati in branchi, possono compiere nei confronti degli altri animali e delle persone.
La risoluzione del problema del randagismo è dunque un dovere di tutti, Istituzioni e cittadini, ognuno deve fare con senso di responsabilità il proprio dovere.
Se viene rinvenuto un animale vagante sul territorio i cittadini devono rivolgersi al Servizio Veterinario territorialmente competente direttamente o, se ciò non è possibile, tramite le forze di Polizia, che hanno il dovere di intervenire».

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