Sanihelp.it – «Caro Stato, stivalone da moschettiere che parte dal tacco e arriva al sedere. Terra dei fichi, dei cachi e dei fuochi, terra del sole e delle sòle, Italia amore mio. E per copia conoscenza al Ministero della Salute un tempo fu pubblica, ora meglio se hai l’assicurazione. E per altra copia conoscenza al ministro Schillaci che ci piacerebbe che ogni tanto si facesse vivo, dicesse qualcosa, anche solo una frase scontata da medico, tipo: dica 33, ma niente. Caro Stato. Ti parlo a nome di tutti quelli che in questo momento sono ammalati come me. In pausa non voluta, senza preavvisi, che inizia un martedì qualunque e finisce quando vuole il tuo corpo e non tu» comincia così la lettera che Luciana Littizzetto ha letto, come consuetudine, durante la puntata di Che tempo che fa del 23 febbraio e che questa volta è dedicata alla sanità italiana
Non è in studio, ma a casa ancora convalescente dopo la pancreatite acuta che l’ha costretta al ricovero nelle scorse settimane. E scrive proprio in virtù di questa esperienza: «Quando sei malato impari tante cose. Per esempio a tenerti un ago piantato nell’unica vena trovata e far finta di niente. Impari quanto casino può fare una risonanza magnetica, impari che il liquido di contrasto della tac quando entra in circolo ti fa l’effetto fiammata e ti brasa la Jolanda. Ma soprattutto, impari che purtroppo ammalarsi succede a tutti. E quando sei malato, d’improvviso non hai più niente. Il tuo corpo non è più tuo, lo gestiscono i medici che ti dicono cosa devi e non devi fare come quando eri piccolo. […] Si dice che una società si giudica da come tratta gli anziani, io aggiungerei da come tratta gli anziani e i malati, quando poi sono tutte e due il giudizio è completo».
Inevitabile per Luciana porre l’accento sulle carenze attuali del nostro sistema sanitario: «Peccato che manchino i soldi, soldi per le cure e soldi per chi ti cura. Mancano gli ospedali, i medici, gli infermieri e le infermiere sono pochi e pagati poco, fanno tutti una quantità di ore insostenibile e spesso si prendono pure gli schiaffi rimanendo sempre in prima linea. Mancano figure professionali che sappiano gestire con cura l’organizzazione della sanità che se no fa acqua da tutte le parti».
Un’occasione anche per evidenziare come, nonostante queste carenze, la sanità corra il rischio di passare in secondo piano rispetto all’esercito: «Quel 6% di PIL che dedichiamo alla sanità non trovi che sia scandalosamente poco rispetto al 2% che destiniamo alla difesa? Ursula von der Leyen vuole portare fino al 3% del PIL gli investimenti per il comparto militare quindi per noi significa pagare 30 miliardi in più. Ma noi non ripudiavamo la guerra? Abbiamo cambiato idea? Anche se spendiamo di più per la difesa […]non è che di colpo diventiamo Sparta eh o l’Invincibile Armata. Leva 20 palle di cannone e un’alabarda stato mio, lascia perdere quei bazooka che messi sulla spalla abbattono aerei ed elicotteri, e metti su un pronto soccorso su qualche isola che ne ha bisogno. Meno satelliti spia e più risonanze magnetiche, meglio qualche F35 in meno e qualche ambulanza in più. […] Fai in modo che non ci sia un'attesa di un lustro per fare una tac non a pagamento che chiedi una tac e te la facciano subito, taaaaaaaaac… E sostieni i medici di base, che quelli che abbiamo sono sopraffatti dalle incombenze burocratiche, hanno migliaia di pazienti a testa e sono quasi tutti vicini alla pensione».
La lettera si chiude con una difesa e un elogio della sanità pubblica e di chi paga le tasse: «Un letto d’ospedale gratis non lo batte nessuno. È una fortuna di cui forse non ci rendiamo conto, la diamo per scontata. Tu prova ad ammalarti nella terra di Trump ed essere senza soldi. Addio. Quindi dico: viva la sanità pubblica. E se ce l’abbiamo è grazie a chi paga le tasse. Dal primo dei gradini del Pronto soccorso, all’ultima delle supposte, tutto è stato comperato coi soldi nostri, anzi, di quelli che pagano le tasse, che non sono tutti […]Noi siamo l’unica sanità al mondo che cura tutti, anche te minchione che non hai mai pagato un centesimo di tasse e che però ne approfitti e magari ti lamenti pure. Quindi ricordiamocelo sempre: la nostra sanità pubblica è la cosa più bella che abbiamo al mondo, dopo la battuta di Sinner, non buttiamola via».