Sanihelp.it – La legge sulla fecondazione assistita tocca spesso il concetto di libertà terapeutica, un diritto garantito a livello costituzionale ma violato, secondo i sostenitori dell’abrogazione, dalla legge 40/2004.
Con la vittoria del referendum abrogativo tale diritto verrebbe restituito tanto al medico quanto all’individuo.
Dal punto di vista del medico, la libertà terapeutica consiste nella possibilità professionale di esercitare decisioni riguardanti cure e scelte terapeutiche nei confronti dei propri assistiti secondo scienza e coscienza, cioè basandosi sulla propria preparazione e conoscenza in materia medica nonché su propri valori e principi etici.
Dal punto di vista del paziente-individuo, lo stesso concetto è da intendersi come espressione della sovranità dell’individuo sul proprio corpo: il diritto, dunque, a scegliere il tipo di cura ritenuto più adeguato al proprio organismo e al proprio problema.
In entrambi i casi l’accento è posto sulla consapevolezza (professionale per il medico, personale per l’individuo) di cosa è meglio fare per la salute di se stessi o dell’assistito. Spetta all’individuo consapevole (cioè informato e messo a conoscenza di tutte le possibili alternative) valutare costi, benefici e controindicazioni di cure e terapie.
Il punto sta nel definire i limiti di questa libertà, ed è proprio sul discrimine tra diritto all’autodeterminazione e rischio di anarchia sanitaria che si focalizza il referendum.
È giusto che il legislatore intervenga in decisioni di ambito sanitario che sono appannaggio del medico e dell’interessato?
Oppure l’aspirazione dell’individuo all’autodeterminazione si sta spingendo troppo oltre, favorita anche dal sempre crescente potere delle biotecnologie, ormai capaci di intervenire sulla materia vivente e dunque sui tempi e sulle forme della nascita e della morte?
Secondo i fautori dell’abrogazione la legge attuale impone al medico comportamenti contrari alla buona pratica clinica e alle acquisizioni scientifiche. Per esempio, la decisione di limitare a tre il numero degli ovociti da fecondare e l’obbligo di impiantare tutti gli embrioni ottenuti (vietando il loro congelamento) ridurrebbero le probabilità di successo e aumenterebbero i rischi per la donna.
Inoltre, negando la possibilità di accesso alla PMA nel caso di possibilità di metodi alternativi, si negherebbe ancora una volta, sempre secondo i promotori della riforma, il concetto di libertà terapeutica.
L’accusa mossa contro questa legge è quella di definire, in modo universalmente valido per tutti, una strategia terapeutica unica e obbligata per un problema (l’impossibilità di una gravidanza) che può avere infiniti risvolti a seconda dei soggetti coinvolti.
Data l’evoluta situazione attuale della medicina contemporanea, i sostenitori della riforma sostengono che la ricchezza di terapie oggi disponibili deve essere vissuta come un vantaggio irrinunciabile, e quindi l’individuo deve essere libero di intraprendere la strada terapeutica che ritiene più idonea per la sua persona e più conforme alla sua idea personale di benessere psico-fisico.