Sanihelp.it – Nella vita di un bambino, l’inizio della scuola elementare rappresenta uno dei momenti più importanti, e coinvolge dinamiche complesse che non vanno sottovalutate.
Con l’aiuto di Simonetta Gentile, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, cerchiamo di comprendere meglio questo passaggio.
Da materna a elementare: come e quando
Che significato ha per un bambino il passaggio da scuola materna a scuola elementare?
«L’ingresso nella scuola elementare coincide per il bambino con il completamento di un processo di crescita, che lo porta al passaggio da un mondo soggettivo a un mondo basato su una realtà oggettiva. Per adeguarsi alle regole condivise che essa impone, dovrà compiere uno sforzo di adattamento. Dovrà uscire dal confine protetto conosciuto negli ultimi 5 anni, e avventurarsi da solo in un mondo nuovo, con le sue sfide e i suoi rischi».
Quali sono i prerequisiti che un bambino deve possedere per affrontare questo cambiamento?
«In genere, a sei anni il bambino ha raggiunto una sufficiente autonomia personale, è in grado di controllare la sua istintualità e ha consapevolezza di se stesso e degli altri. Comincia a sperimentare il piacere di investire le sue energie nei processi di crescita, di conoscenza e di apprendimento del nuovo.
Per poter affrontare con facilità l’ingresso a scuola, il bambino deve aver già acquisito alcune competenze: capacità motorie, visive e uditive complete, padronanza del linguaggio, capacità di prestare e mantenere l’attenzione, capacità di associare simbolicamente.
Deve anche essere in grado di entrare in relazione con gli altri, rispettando le regole del gruppo e i confini propri e altrui.
Questo compito spetta ai genitori e alle maestre della materna che, soprattutto con l’ingresso a scuola anticipato a 5 anni, nell’ultimo anno devono facilitare l’acquisizione dei prerequisiti con programmi finalizzati.
Se però emergono problemi specifici (deficit neurosensoriali, deficit cognitivi, disturbo di linguaggio o situazioni psicopatologiche o di svantaggio culturale o sociale), è consigliabile consultare il neuropsichiatra infantile o lo psicologo, per valutare se il bambino è effettivamente pronto all’ingresso a scuola o se è preferibile aspettare un anno ancora per permettere una migliore maturazione».
Il ruolo dei genitori
Come si devono comportare genitori e insegnanti per preparare il bambino al nuovo distacco?
«Normalmente il bambino percepisce il passaggio dalla scuola materna a quella elementare come un momento di crescita gratificante, che lo fa sentire grande.
Tuttavia è importante facilitarlo rendendo conosciuto e prevedibile tale passaggio, partendo proprio dalla conoscenza reale di spazi, persone e contesti che dovrà affrontare. In molte scuole, già nell’ultimo anno di materna le insegnanti portano i bambini a conoscere le aule, gli insegnanti e le attività della prima elementare.
Quando poi il bambino inizierà la frequenza in classe, dovrà essere informato con cura circa tempi, regole e attività integrative, e rassicurato sulla possibilità di mantenere ancora spazi e tempi dedicati al gioco e alla ricreazione.
Inizialmente, soprattutto nelle classi a tempo pieno, si dovrà limitare l’assegnazione di compiti a casa al solo fine settimana.
Per aiutare il bambino nel suo processo di responsabilizzazione, i genitori devono condividere le regole della scuola, insegnandogli a rispettare gli orari, a prendersi cura del materiale scolastico e a rispettare le indicazioni degli insegnanti.
Il bambino nella nostra cultura è spesso sottovalutato circa le sue possibilità di farsi carico di regole e impegni».
Problemi di inserimento
Quali sono i problemi più diffusi che un bambino potrebbe mostrare nell’inserimento a scuola?
«Spesso i bambini possono presentare difficoltà nell’adattarsi a nuove situazioni: fenomeni regressivi e manifestazioni di ansia come risvegli notturni, enuresi e tic sono molto frequenti. In genere si tratta di disturbi transitori che tendono a risolversi spontaneamente quando il bambino acquisisce sicurezza, perciò non bisogna allarmarsi troppo.
Tuttavia, se queste manifestazioni persistono, potrebbero essere indicative di un disagio più profondo, legato in genere a precedenti fasi di sviluppo e in particolare alla relazione con le figure primarie.
A volte, poi, i genitori e in particolare la madre possono vivere a livello inconscio l’ingresso in prima elementare come una perdita del bambino, che cresce, si separa e prova piacere nell’investire le sue energie psichiche al di fuori della relazione con loro. Il bambino può percepire il dolore dei genitori e vivere la scoperta di questo nuovo mondo con senso di colpa, mostrando sintomi quali il classico mal di pancia o nei casi più seri il rifiuto diretto. Per far fronte a queste reazioni, i genitori devono far sentire al bambino che hanno fiducia nelle sue risorse, che lo considerano capace di affrontare e superare le difficoltà e che la scuola saprà sostenerlo.
In ogni caso, di fronte alle difficoltà occorre parlarne, sia tra i genitori che con gli insegnanti, e collaborare al fine di comprendere la difficoltà del bambino».
Affrontare le reazioni
Cosa si nasconde dietro a reazioni apatiche o disinteressate di un bambino nei confronti della scuola?
«Innanzitutto è molto importante verificare che non siano presenti difficoltà neuropsicologiche non riconosciute che, impedendo al bambino di apprendere con facilità, generino in lui ansia e difensivamente la tendenza a rifiutare l’apprendimento e la scuola. Spesso infatti i bambini che sviluppano un comportamento reattivo nascondono difficoltà oggettive, come disturbi visivi e uditivi o dislessia, che vengono confusi con disturbi psicopatologici, pigrizia o cattiva volontà».
Come ci comportimao se il bambino dimostra difficoltà ad accettare alcuni compagni, magari di razza diversa o con qualche handicap?
«Bisogna aiutarlo a trovare la corretta modalità di comunicazione e relazione con eventuali bambini di lingua e cultura diversa dalla propria o con bambini diversamente abili presenti nella sua nuova classe, insegnandogli il rispetto reciproco. Il genitore dovrà valutare se questo atteggiamento del bambino non sia dovuto a ansie rispetto a tali situazioni, che il bambino percepisce in casa e poi fa sue».