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La farmaceutica italiana è viva, ma con quali prospettive?

Sanihelp.it – Uno studio della università Bocconi dimostra come in Italia si possa fare ricerca farmaceutica e di come si possa fare crescere occupazione e profitti. Sono state prese in esame dodici aziende farmaceutiche italiane: Abiogen, Acraf, Alfa Wassermann, Bracco, Chiesi, Dompé, Italfarmaco, Menarini, Recordati, Rottapharm, Sigma-Tau e Zambon.


Ecco alcuni dati: la crescita economica media delle dodici aziende campione è stata dal 2001 al 2005 del 7,7%, il numero di addetti (pari a 30.985) nello stesso periodo ha visto un incremento totale del 21,3%, a fronte del dato totale dell’industria italiana che è stato del 5%. Rilevantissimo l’impegno in ricerca, che ha visto l’8,8% del fatturato investito in Ricerca&Sviluppo, contro una media globale dell’intero comparto industriale pari all’1%.

Il numero medio annuo di richieste di brevetti all’Ufficio Europeo per questo gruppo di aziende è quasi triplicato nel periodo 1991 – 2003 rispetto al periodo 1980 – 1990.

Le dodici aziende, pur mantenendo tutte gli headquarters in Italia, dispongono di 197 insediamenti all’estero, oltre ai 76 in Italia, costituiti da filiali, stabilimenti e centri di ricerca.

Gli industriali del settore, nonostante i numeri favorevoli, non sono ottimisti. Il problema sta nelle politiche governative. Dal 2001, spiegano, si sta mettendo per legge il settore farmaceutico fuori dalla competitività internazionale. Come possiamo competere con le altre aziende internazionali se in Italia operiamo con prezzi, cioè ricavi unitari, inferiori a quelli europei di oltre il 30%.

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