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Una giornata al Pronto Soccorso

Sanihelp.it – Venerdì 2 marzo 2007, ore 9 del mattino. Inizia il nostro viaggio nel mondo del Pronto Soccorso, per capire come funziona davvero e svelare il dietro le quinte di una realtà spesso eletta dalle cronache come regno indiscusso del caos e della disorganizzazione. 


Sono davanti all’ingresso del Pronto Soccorso dell’ospedale san Gerardo di Monza, che serve buona parte della Brianza con 1500 posti letto e 3500 dipendenti, ed è apprezzato in Italia e all’estero come azienda ospedaliera ad alta specializzazione in campo neurologico, cardiovascolare, nei trapianti di midollo e di cornea.
All’entrata, la situazione è tranquilla. Ambulanze del 118 e automediche sono pronte a partire in caso di emergenza. Passo davanti al banco per l’accoglienza dei pazienti che arrivano autonomamente. Un ragazzo, che si è ferito a una mano facendo dei lavori in casa, sta dettando a un’ausiliaria le proprie generalità. Poi viene affidato a una delle due infermiere addette al triage, ovvero all’assegnazione dei codici di priorità. Per lui è codice verde: viene invitato a raggiungere la sala d’aspetto in attesa del suo turno. Anche lì, regna la tranquillità. 
«Il primo mattino è il momento più calmo della giornata», mi spiega il dottor Marco Gardinali, responsabile dell’Unità operativa di Pronto Soccorso e Osservazione. Nella piccola stanza, oltre al giovane, ci sono solo due donne che guardano fisso in un monitor. Come in stazione, indica i tempi di attesa e l’evolversi della situazione dei pazienti prima di loro. Guardo anch’io: un codice bianco in sala visita pediatrica, sette codici verdi in coda per la sala visita ortopedica, quattro per la sala visita medica, tre per la chirurgica e tre in osservazione. Nessun codice rosso né giallo. 
I tempi d’attesa non superano i venti minuti, e la gente non si lamenta. Naturalmente, non è sempre così, ma io comunque non me l’aspettavo. Mi sposto nel reparto di osservazione, che, come mi spiega il dottor Gardinali, nei moderni Pronto Soccorso serve a tenere sotto controllo i casi sospetti, di una certa gravità ma non tanto da essere ricoverati subito. Ci sono tre persone, un uomo e due donne, tutti sopra i sessant’anni. Potrebbero rimanere in osservazione anche 48 ore, durante le quali i medici effettueranno le procedure diagnostiche necessarie per capire se prescrivere il ricovero. «Di questi tempi, con i tagli delle spese e la riduzione dei posti letto, si tende a ricoverare il meno possibile», ammette Gardinali, «per questo, rispetto a dieci anni fa, si fa molta più diagnosi nei Pronto Soccorso. Prima, nel dubbio si diceva «ricoveriamolo, poi si vedrà». Oggi no: dobbiamo decidere prima».
 
Il Pronto Soccorso è come un ospedale nell’ospedale. C’è la sala emergenza per i codici rossi, l’area pediatrica e quella ortopedica con due stanze, l’area di visita chirurgica con tre e quella di visita medica con quattro. C’è il reparto di radiologia, l’unità stroke unit collegata per la diagnosi cardiovascolare, la sala di controllo del 118.
Intorno a questo ruotano circa ottanta persone tra medici, infermieri e ausiliari, suddivisi in tre turni da otto ore. Su tutto incombono due parole: il tempo e le liste d’attesa. Nelle ventiquattro ore precedenti al mio arrivo, dalle 8 del primo marzo alle 8 del 2, il Pronto Soccorso ha registrato 297 accessi: 9 in osservazione, 81 in sala visita chirurgica, 57 in sala visita medica, 47 in ortopedica, 40 in oculistica, 31 in pediatrica e i restanti suddivisi tra le specialità dei reparti esterni.
I dati non si discostano molto dalle medie annuali dell’ospedale: 102.864 accessi nel 2006, di cui il 26,16% in sala visita chirurgica, il 19,75 in sala visita medica e il 15,89% in sala visita pediatrica, solo per citare i primi tre.
Tradotto nella realtà, per i medici del Pronto Soccorso significa un paziente ogni sei minuti, e una media di 65 visite a testa per turno.
Li guardo lavorare, scattare in azione quando intorno alle 11.30 arriva un codice rosso (una donna in stato soporoso, portata dall’accettazione alla sala d’urgenza in poco meno di tre minuti), e penso che sul monitor della sala d’aspetto, accanto allo scorrere dei pazienti, dovrebbero esserci anche questi numeri. Per capire che spesso – non sempre, ma spesso – le lunghe attese non sono dovute a disorganizzazione o negligenza. Certo, i codici bianchi oggi hanno avuto tempi di attesa medi di 111 minuti tra ingresso e visita. Ma i codici verdi 41, i codici gialli 20 e i codici rossi praticamente zero: escludendo i casi di ricovero, in 81 minuti erano pronti per essere dimessi. E qualcuno è riuscito anche a sorridermi.

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