Sanihelp.it – I bambini che presentano fegato grasso associato a epatite (infiammazione del fegato) corrono un rischio di cirrosi epatica e sindrome metabolica del 30% superiore alla media. Lo rivela uno studio dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma pubblicato sulla rivista scientifica americana Hepatology.
L'obesità è uno dei principali problemi mondiali sia nei bambini che negli adolescenti. L'aumento del numero dei bambini con sovrappeso e obesità nei Paesi industrializzati ha portato al parallelo aumento di casi di fegato grasso o steatosi epatica non alcolica.
Negli ultimi 20 anni infatti la steatosi ha raggiunto proporzioni epidemiche anche tra i più piccoli diventando la patologia cronica del fegato più frequente nel mondo occidentale. In Italia si stima che ne sia affetto circa il 15% dei bambini, ma si arriva fino all'80% tra i piccoli obesi.
Le caratteristiche di questa patologia vanno dall'accumulo di grasso in quantità superiore al 5% del fegato (steatosi epatica semplice) a forme più severe (steatoepatite non alcolica) che possono progredire sin dall'adolescenza verso la cirrosi epatica.
Come gli adulti, i bambini possono presentare danni metabolici caratterizzati da aumento della circonferenza addominale, ipertensione, insulino-resistenza, ipercolesterolemia, tutte condizioni che aumentano il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2, sindrome metabolica o malattie cardiovascolari, che ne riducono le aspettative di vita.
Lo studio ha coinvolto 430 bambini ed è stato condotto in collaborazione con l'university of Cambridge. SI dati emersi dimostrano come la presenza di infiammazione sia il fattore chiave per identificare i bambini a rischio di dislipidemia, obesità, sindrome metabolica e fibrosi epatica.
Il dato innovativo che emerge è che la presenza di infiammazione nel tessuto epatico correla con un peggiore quadro metabolico e fibrotico del fegato. Pertanto la precoce identificazione dei bambini con questo quadro clinico, resa possibile sia dalla biopsia epatica ma anche da marcatori sierici, permetterà agli scienziati di iniziare quanto prima una terapia mirata a ottenere l’arresto della progressione del danno epatico e, se precocemente iniziata, la guarigione completa del fegato.