Sanihelp.it – Ottima notizia per tutti quelli che soffrono di morbo d'Alzheimer, terribile malattia neurodegenerativa che porta alla progressiva perdita delle capacità cognitive di chi ne soffre: un gruppo di ricercatori è riuscito per la prima volta a invertire la perdita di memoria dei pazienti, con una combinazione di modifiche nel loro stile di vita, nella loro alimentazione e nella loro terapia. Si tratta di un piccolo studio, che ha preso in considerazione solo 10 soggetti, ma tutti quelli che hanno partecipato alla sperimentazione hanno manifestato miglioramenti nelle loro capacità mnemoniche solo dopo pochi mesi: chi aveva dovuto rinunciare al lavoro ha giovato talmente di questo incremento delle performance che ha potuto tornare alla propria scrivania.
I risultati dello studio sono stati pubblicati in questi giorni sulla rivista specializzata Aging: si tratta della prima ricerca che dimostra come la degenerazione delle capacità dovuta all'Alzheimer non solo si può rallentare, ma può persino essere invertita, e i miglioramenti mantenuti nel tempo. Per fare ciò, gli esperti del Buck Institute For Research on Aging, gli autori della sperimentazione assieme ai colleghi degli UCLA Easton Laboratories for Neurodegenerative Disease Research, hanno studiato un trattamento molto complesso, fatto di ben 36 punti: un mix di cambi di alimentazione, stimolazione cerebrale, esercizi, ottimizzazione del sonno, farmaci e vitamine specifici, e altri step volti a cambiare l'equilibrio chimico all'interno del cervello dei dieci volontari.
Purtroppo, nessun farmaco da solo è riuscito ad avere risultati soddisfacenti, e anche il mix di medicinali senza tutto il resto del trattamento ha avuto esiti modesti. Tutto compreso, si tratta del primo trattamento che porta ad effettivi miglioramenti nei pazienti con Alzheimer della storia, da quando cioè cent'anni fa è stata descritta per la prima volta la malattia: per questo, pur essendo una sperimentazione relativamente piccola come dimensioni, può risultare estremamente importante nella lotta a questa patologia. Per ogni paziente che abbia preso parte alla ricerca, gli esperti hanno concepito una terapia ritagliata su misura. Il team di scienziati americani ha paragonato la malattia ad un tetto con 36 buchi: magari un farmaco può sistemare uno di quei buchi, ma ne rimangono comunque 35. Per questo occorre un trattamento maggiormente strutturato: trattamento che, in vista di più approfonditi test, ha dato già i primi risultati incoraggianti.