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MICI: non trattate come dovrebbero

Sanihelp.it – Le malattie cronico infiammatorie intestinali spesso sono sotto trattate: ad evidenziare la problematica una ricerca   svolta da CliCon e presentata in un convegno organizzato dal Gruppo Italiano Biosimilari (IBG) e dal Gruppo Italiano per le MICI.


Stando ai dati della ricerca oltre un quarto (28,6%) dei pazienti italiani affetti da malattia di Crohn (MC) o colite ulcerosa (CU) potrebbe essere curato con farmaci biologici ma non riceve tali trattamenti, pur rispondendo ad almeno uno dei relativi criteri di eleggibilità.

Si tratta cioè di pazienti che non rispondono ai trattamenti con steroidi o risultano intolleranti o dipendenti dagli stessi, ovvero pazienti con patologia MC/ CU in riacutizzazione severa, o malattia di Crohn estesa e con prognosi sfavorevole.

«Le MICI colpiscono in Italia circa 250 mila persone, con una incidenza e prevalenza medio alta e un picco di insorgenza è in età giovane adulta, tra i 20 e i 30 anni (20% i casi diagnosticati in età pediatrica).  Sono malattie croniche, che alternano remissione e riacutizzazione, determinando in alcuni casi manifestazioni extra intestinali, quali artriti, patologie infiammatorie cutanee, oculari o epatiche. Il tutto in una fase della vita in cui l’individuo è pienamente in attività e produttivo» ha chiarito Alessandro Armuzzi, Responsabile Comitato Educazionale IG-IBD. 

Per quanto riguarda le terapie, ha spiegato ancora Armuzzi «si cerca di utilizzare i farmaci on time, intervenendo tempestivamente per alleviare i sintomi e ridurre la progressione del danno intestinale. In linea generale le principali terapie farmacologiche sono i salicilati, i cortisonici, gli immunosoppressori, e terapie avanzate come i farmaci biologici e le small molecules. I farmaci biologici e biosimilari svolgono un ruolo molto importante nella gestione del paziente affetto da MICI: quando utilizzati, hanno il vantaggio di portare ad una veloce e immediata attenuazione, se non scomparsa, dei sintomi e ad una cosiddetta »guarigione mucosale» delle ulcere». 

A sottolineare l’importanza nell’appropriatezza nella scelta delle terapie è stato Marco Daperno, Segretario generale IG-IBD: «Queste malattie, proprio per l’impatto che hanno sulla quotidianità dei pazienti, sono associate a numerose problematiche fisiche e psicologiche, che possono anche includere depressione e stress. Una riunione di lavoro o lo stare a tavola con la famiglia possono diventare attività incredibilmente difficili per chi ne soffre, che talvolta rischia il proprio posto di lavoro o un demansionamento a causa della malattia – ha detto – . Oggi grazie ai progressi terapeutici, le fasi acute possono essere tenute lontane per un periodo sempre più lungo, con importanti benefici fisiologici e psicologici per i pazienti, nonché con possibili impatti anche in termini di risparmio di interventi chirurgici e assenze lavorative». «Ciò nonostante – ha proseguito Daperno – sembra che uno degli approcci terapeutici adeguati, ovvero l’accesso alla terapia con farmaci anti-TNF o biotecnologici più in generale sia proposto ai pazienti in misura inferiore a quanto apparentemente necessario. Quanto questo possa rappresentare un problema, peraltro già evidenziato anche in altre aree terapeutiche (come la Reumatologia con uno studio analogo) e quanto sia utile ricercarne le cause, è l’argomento di ricerca che attualmente si pone l’associazione scientifica IGIBD, per poter capire se esistano barriere al trattamento di tipo normativo, economico o di conoscenza, e per poter migliorare l’offerta terapeutica per i pazienti italiani affetti da IBD».

«Per consentire ai pazienti di vivere la loro vita il più possibile liberi dai sintomi, ma anche per ridurre il rischio di complicazioni e di ricorso a interventi chirurgici nel più lungo termine è fondamentale l’accesso a questo tipo di terapie», ha commentato Salvo Leone, direttore generale di AMICI Onlus, che ha evidenziato anche una necessità di maggiori informazioni indirizzate ai pazienti. «I risultati emersi dalla ricerca CliCon hanno evidenziato una tendenza al sotto-trattamento che va sicuramente approfondita – ha proseguito Leone -. Da un’indagine condotta da AMICI su un campione di circa 1.700 pazienti è emerso che solo il 5.7% ha rifiutato la somministrazione di un biosimilare e il 37.22% ha dichiarato di non essere stato sufficientemente informato dal medico che lo segue – ha concluso -. Riteniamo pertanto necessaria una campagna di informazione e un confronto con tutti gli attori coinvolti in modo da chiarire i dubbi dei pazienti che rappresentiamo e avere delle risposte in merito alle cause del sotto-trattamento ed alle possibili soluzioni».


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