Sanihelp.it – Le colangiopatie sono malattie genetiche e congenite del fegato, rare e fino a pochi anni fa anche poco studiate.
Da tempo il Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova collabora su questi temi con il gruppo di ricerca di Mario Strazzabosco, direttore del Laboratorio di Epatologia Traslazionale al Liver Center della Yale University School of Medicine in America.
I risultati di questi studi congiunti e le loro implicazioni sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Reviews Gastroenterology & Hepatology.
Luca Fabris, prima firma dell’articolo afferente al Dipartimento di Medicina Molecolare (DMM) dell’Università di Padova-. Nell’articolo abbiamo focalizzato l’attenzione su quattro patologie (il fegato policistico, la sindrome di Alagille, la fibrosi epatica congenita e la epatopatia da fibrosi cistica), anche se il range dei nostri studi vertono su altre condizioni simili, dalle colestasi intraepatiche progressive all’atresia delle vie biliari. Queste patologie sono causate da mutazioni genetiche che colpiscono proteine espresse sulla membrana delle cellule dei dotti biliari, come le policistine e la fibrocistina, capaci di controllare importanti funzioni della cellula epiteliale, come la proliferazione cellulare o la secrezione di mediatori dell’infiammazione. La perturbazione di queste attività indotta dall’espressione di una proteina mutata e malfunzionante, porta da un lato a una crescita esuberante delle strutture biliari che vanno a formare delle cisti che possono raggiungere dimensioni anche superiori ai 15 cm all’interno del fegato, dall’altro richiamare cellule endoteliali e cellule infiammatorie, con sviluppo di vasi sanguigni, infiammazione e fibrosi, che sono processi stereotipati con i quali le malattie epatiche croniche progrediscono verso la cirrosi e il cancro».
«L’epatologia ha fatto passi da gigante e siamo ora in grado di prevenire e curare molte delle principali malattie epatiche. Tuttavia, le malattie colestatiche e delle vie biliari rappresentano ancora un mistero, che si traduce nell’assenza di terapie curative – sottolinea Mario Strazzabosco – e queste malattie rimangono tra le principali unmet needs dell’epatologia. Anni fa, abbiamo fatto la scommessa che andando a cercare i meccanismi fisiopatologici di malattie colestatiche rare e geneticamente determinate, avremmo potuto ricavare informazioni rilevanti in senso generale, in quanto potevamo controllare meglio le condizioni sperimentali e quindi amplificare il guadagno di informazioni. Abbiamo anche investito nel generare modelli cellulari, come le »induced pluripotent stem cells» e gli »organoidi» che ci hanno consentito di lavorare con cellule facilmente derivabili dai pazienti stessi. Questo approccio ci ha ripagato, e come sottolineiamo nel lavoro appena pubblicato, ci ha consentito di avvicinarci di più alla comprensione di come il fegato reagisce a certi tipi di danno e come »ripara le ferite» ed eventualmente rigenera. Questo ha portato all’identificazione di una serie di possibili bersagli molecolari, che potrebbero un domani divenire »azionabili», che poi significa sfruttabili ai fini terapeutici, se così posso tradurne il concetto. È stato un viaggio interessantissimo – continua Mario Strazzabosco – ma originato sempre da osservazioni cliniche fatte di persona, da me o da Luca, su pazienti affetti da queste malattie, e che ricevevano un trapianto o venivano studiati per un trapianto. Questo lavoro è un esempio che si presta ad alcune considerazioni di sistema: infatti parla di epatologia molecolare e traslazionale, del ruolo dei reparti e dei dipartimenti accademici nella generazione di conoscenze, nell’innovazione e nella scoperta di nuove vie e soluzioni. Viene riaffermato con forza il ruolo chiave nelle moderne università di ricerca del physician scientist».